venerdì 21 marzo 2025

MUSICABILE

MEDIO ORIENTE E JAZZ. 

Jazz mediorientale e nordafricano. Questa settimana vi propongo tre dischi di recentissima uscita, uno addirittura sarà sugli scaffali il 28 marzo. Il jazz dell’altra parte del Mediterraneo racchiude in sé qualcosa di magico. La cultura araba, tunisina, siriana (di questo parleremo qui sotto) si innesta nel jazz occidentale con strumenti popolari, fraseggi elaborati, fusi con contrabbassi e violoncelli, trombe e tastiere. 

L’andar per quarti di tono rende tutto molto struggente, echi di tradizioni millenarie rivisitate con attenzione e rispetto. I tre autori che vi propongo sono rappresentativi di un incedere libero da vincoli geografici, condivisivo e inclusivo, e per questo emozionante. Il tunisino Anouar Brahem è uno dei grandi maestri dell’oud, il siriano Kinan Azmeh è un virtuoso del clarinetto e abile compositore, mentre la britannica-barhenita Yazz Ahmed è una compositrice e trombettista di rara bravura e sensibilità.

 

1 – After The Last Sky – Anouar Brahem – uscita 28 marzo 2025
Where should the birds fly, after the last sky?… è un verso del poeta palestinese Mahmoud Darwish che Anouar Brahem, maestro tunisino dell’oud, ha fatto suo per definire, fin dal titolo, l’impianto di un disco bello, complesso, oserei, politico. After the Last Sky, in uscita venerdì prossimo è suonato in quartetto con il mitico contrabbassista Dave Holland, con Django Bates al pianoforte e, vera novità, dalla violoncellista classica tedesca Anja Lechner. Brahem ha costruito un paesaggio sonoro straziante e riflessivo disegnato dai maqām – sistema musicale complesso e ricco che definisce la musica araba tradizionale, con implicazioni tecniche, estetiche ed emotive profonde – colorandolo con la musica classica europea e il jazz occidentale. Pubblicato da ECM e prodotto a Lugano con maniacale cura da Manfred Eicher, fondatore della casa discografica, After The Last Sky è ispirato dalle strazianti vicende del popolo palestinese a Gaza. Storie e immagini che prendono corpo negli undici brani del disco per 59 minuti d’ascolto: in Remembering Hind, il duetto piano-violoncello si dispiega come una sonata lenta in omaggio a una giovane vittima della guerra; in After The Last skye, l’oud si fonde con il violoncello e con i tocchi soffici del contrabbasso creando un autentico dialogo tra Oriente e Occidente, sommesso e pacato, lontano dalle battaglie e dalle armi. Edward Said’s Reverieè dedicata a Edward W. Said, intellettuale americano di origini palestinesi. Le meditazioni di Edward sono esposte in un toccante duetto tra Bates e Lechner. Un disco “gentile”, spirituale, ben architettato anche nelle improvvisazioni, fluide e perfette. Un lavoro di grande forza espressiva, da ascoltare senza se e senza ma!

2 – Live in Berlin – Kinan Azmeh and CityBand – uscita 28 febbraio 2025
Il quattordicesimo lavoro del clarinettista e compositore siriano Kinan Azmeh, nasce da un periodo intenso e difficile della sua vita. I brani hanno preso forma durante la Rivoluzione Siriana del 2011, riflettono un ventaglio di emozioni potenti come rabbia, tristezza, frustrazione e, soprattutto, la necessità di mantenere ottimismo, speranza e creatività di fronte alle atrocità commesse dal regime di Assad in quel periodo. Questi brani registrati dal vivo alla Pierre Boulez Concert Hall di Berlino nel 2021 non dovevano diventare un album, perché troppo privati, troppo dolorosi. Azmeh ha cambiato idea dopo la fuga precipitosa di Assad: «È arrivato il momento di condividere questo lavoro con il mondo, visto che oggi il popolo siriano può cantare di nuovo dopo la lunga e costosa lotta contro la tirannia e la dittatura». Anche in lavoro, come nel precedente di Brahem c’è la fusione tra armonie occidentali, i maqām e i ritmi mediorientali. Il disco apre con The Queen Commanded, melodia ispirata al romanzo Children of the Ghetto del libanese Elias Khoury, morto nel settembre dello scorso anno. Qui il suo clarinetto è morbido,  tesse percorsi sospesi, viene in mente il nascere del sole, il progressivo illuminarsi dell’orizzonte coincide con quel senso di pace che la chitarra di Kyle Sanna e il clarinetto espongono con maestria sui toni bassi, per salire gradatamente a suoni più cristallini, accompagnati da interventi puliti del contrabbasso di Josh Mayer e le percussioni suonate da John Hadfield, la famosa CityBand, con cui Azmeh s’accompagna da vent’anni. Daraa (che in arabo significa conoscenza) e Jisreen  portano i nomi delle due città siriane che hanno subito le più violente repressioni 14 anni fa. Il clarinetto di Azmeh qui è un grido accorato, cita canti di protesta. Wedding, chiude le sette tracce che compongono il disco per un’ora e 4 minuti d’ascolto. Rappresenta lo spirito di un matrimonio tipico in un villaggio siriano, durante la festa gli invitati mangiano e bevono, aumenta l’allegria e, di conseguenza, la voglia di ascoltare musica e danzare. Che dire, un lavoro profondamente corale, potente, un inno alla resilienza e alla speranza. 

3 – A Paradise in the Hold – Yazz Ahmed – uscita 4 febbraio 2025
Dal primo disco autoprodotto uscito nel 2011 intitolato Finding Way HomeYazz Ahmed ne ha fatto di cammino. Il suo stile è diventato inconfondibile, la famosa ricerca della strada per raggiungere casa si fonda sull’improvvisazione. Il suo è un jazz psichedelico, fusion infuocata di assoli istintivi e lirismo melodico. La trombettista, flicornista e compositrice con A Paradise in the Hold, suo quarto album, propone dieci tracce di una musica magnetica che trascende i confini, si intreccia in modo complesso attingendo tutte le influenze musicali e armoniche provenienti dalla sua doppia eredità britannica e bahreinita. La Ahmed è musicista che adora narrare in note. In questo caso ha seguito due forme musicali tipiche del Bahrein (il Paese del Golfo Persico in arabo è conosciuto come Mamlakat al-Baḥrayn, cioè il Regno dei due mari), le gioiose poesie nuziali tradizionali e i malinconici canti di lavoro dei pescatori di perle (i canti fidjeri), musiche che lei ha ascoltato durante l’infanzia trascorsa in Bahrein. Uno dei canti dei pescatori l’ha usato su Al Naddaha, ottenendo un pezzo che fonde – un passaggio perfetto – la tradizione all’oggi. Quella di Yazz non è musica politica come lo sono i dischi precedenti. Prevale la ricerca musicale, il ricordo, il desiderio di allacciare le due culture in cui è cresciuta. Vedi Though My Eyes Go To Sleep, My Heart Does Not Forget You, ottava delle dieci tracce per 70 minuti d’ascolto che compongono  l’album: l’elettronica dance si armonizza con i canti fidjeri e con le melodie nuziali; la tromba, in una sorta di filo d’Arianna, riporta finalmente a casa. Nel disco è sempre presente il vibrafono, altro strumento percussivo che ammorbidisce la batteria, mai invadente. Into the Night è una gioiosa traccia che vede la partecipazione della famiglia allargata di Yazz: esegue gli Zaghārīt, gli ululati tradizionali delle donne barhenite e batte ritmicamente le mani. Un disco che si ascolta facilmente, immediato, brillante, stimolante. Buone cuffie!


 

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