sabato 1 marzo 2025

DOLORE: COME IL CERVELLO PUÒ SPEGNERLO

SCOPRIAMOLO INSIEME 

(fonte Gazzetta dello Sport)

Bruciore di stomaco, il dolore di una scottatura, la fitta acuta di un taglio sul dito. Il dolore fa parte della vita quotidiana e ci accompagna in varie forme. Ma quali sono i suoi meccanismi? E, soprattutto, la mente può controllarlo? 

Dan Baumgardt, psicologo dell'Università di Bristol, in un articolo pubblicato su The Conversation, parte da un'osservazione sorprendente fatta durante la seconda guerra mondiale. Il medico Henry Beecher notò che alcuni soldati feriti non necessitavano di antidolorifici, nonostante lesioni gravi come la perdita parziale di un arto. In pratica, la paura, lo stress e le emozioni avevano spento il dolore. "Il dolore ha uno scopo fondamentale, pensato per proteggere il corpo invece che danneggiarlo", scrive Baumgardt. E non si tratta di percezione, bensì di una sensazione creata dal cervello in risposta ai segnali inviati dai neuroni della pelle, chiamati nocicettori. Questi rilevatori specializzati si attivano in presenza di stimoli potenzialmente dannosi, come tagli, urti o temperature estreme.

Il percorso del dolore, dunque, inizia sulla pelle. Quando tocchiamo qualcosa di bollente o calpestiamo un chiodo, l'informazione viaggia lungo le "autostrade nervose" sotto forma di correnti elettriche chiamate potenziali d'azione. Questi segnali attraversano poi il midollo spinale e raggiungono la corteccia cerebrale, dove viene generata la sensazione del dolore. Ma questo viaggio può essere interrotto. "Molti fattori diversi possono interferire con questa trasmissione di informazioni", spiega Baumgardt. Gli anestetici locali, come la lidocaina, per esempio, disattivano i nocicettori direttamente sulla pelle. Altri agenti inducono la perdita di coscienza per operazioni chirurgiche più estese.

La percezione del dolore varia così da persona a persona. Quello che per alcuni è un dolore di intensità cinque su dieci, per altri potrebbe essere un 7 o un 2. Esistono persino persone nate senza la capacità di percepire il dolore, una rara condizione chiamata analgesia congenita. "Potremmo pensare che questo conferisca un vantaggio", nota Baumgardt, "ma la verità è l'opposto. Queste persone non sono consapevoli delle situazioni in cui il loro corpo viene danneggiato e possono finire per subire lesioni più profonde".

La scoperta più straordinaria riguarda il sistema naturale di controllo del dolore, situato in una piccola regione al centro del cervello: la sostanza grigia periacqueduttale (PAG). "Questa struttura a forma di cuore contiene neuroni il cui ruolo è alterare i segnali di dolore in arrivo alla corteccia cerebrale", spiega Baumgardt. Le sostanze responsabili di questo effetto sono le encefaline, prodotte in diverse aree del cervello. "Possono avere effetti simili a forti analgesici come la morfina". Il loro rilascio può essere stimolato in vari modi: attraverso l'esercizio fisico, l'alimentazione e l'attività sessuale. Questo spiega perché l'esercizio fisico può fare meraviglie per dolori e acciacchi, come il mal di schiena, invece di ricorrere al paracetamolo.

Baumgardt porta esempi dalla vita quotidiana: "Avete mai preso qualcosa in cucina che all'improvviso vi siete resi conto essere estremamente caldo? A volte la pentola finisce sul pavimento, ma altre volte riusciamo a tenerla giusto il tempo necessario per trasferirla sul piano cottura". Questa capacità potrebbe essere sostenuta dalla PAG che spegne la sensazione di stringere qualcosa troppo caldo da maneggiare, giusto il tempo necessario per evitare di farlo cadere. 

La ricerca sul dolore continua ad evolversi. Recentemente la FDA ha approvato negli USA un nuovo farmaco, il Journavx, che agisce bloccando i ricettori nel sistema nervoso periferico. Rappresenta una possibile svolta in un mondo diventato dipendente da medicinali oppioidi come morfina e fentanyl. "Sviluppare nuovi trattamenti antidolorifici si basa sul lavoro dei ricercatori per aiutare a districare l'intricata circuiteria neuronale e la sua funzione", conclude Baumgardt. "Non c'è dubbio che il compito è difficile. Ma considerando come il nostro corpo genera e sopprime il dolore, possiamo sperare di capire come possa agire come un vero e proprio guaritore".


 

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