a cura di Giuseppe Ceccato (fonte Tgcom)
«A quelli che mi chiedono: e i palestinesi? Rispondo: io sono un palestinese di duemila anni fa. Sono l’oppresso più vecchio del mondo. Sono pronto discutere con loro ma non a cedere le terre che ho lavorato. Tanto più che laggiù c’è posto per due popoli e per due nazioni. Le frontiere le dobbiamo disegnare insieme…». Non so se l’avete mai letta, è un passaggio de l’Arringa per la mia terra, scritta da Herbert Pagani nel 1975, allora 31enne. Quest’anno l’artista, musicista, scrittore, avrebbe compiuto 80 anni. Era nato lo stesso giorno della Liberazione italiana dal Nazismo e dal fascismo, il 25 aprile.
Herbert era un uomo poliedrico, uno che, seppur morto giovane, a 44 anni per una leucemia, nella sua vita ha vissuto più vite artistiche, disegnatore, pittore, scultore, musicista, conduttore radiofonico per Radio Montecarlo, attore. Nel 1973 pubblicò in francese un’opera rock visionaria, Megalopolis, racchiusa in un doppio album, che venne tradotta anche in italiano in formato ridotto nel quale suonò anche Ivan Graziani.
Tra pochi giorni uscirà in formato digitale Pagani per Pagani, disco voluto e cantato da Caroline Pagani, la sorella di Herbert. Caroline è un’ottima attrice teatrale, ama Shakespeare ma anche l’arte del fratello. Per ricordarlo ha deciso di raccogliere i brani del fratello a cui è più affezionata e, finalmente, cantarli: «Li conosco a memoria da anni ma ho sempre avuto il pudore di cantarle», mi racconta. In questa sua avventura ha coinvolto altri musicisti e artisti che hanno aderito con gioia e interesse all’idea. Fabio Concato, Danilo Rea, Giorgio Conte, Alessandro Nidi, autore degli arrangiamenti, Moni Ovadia, Francesca Dalla Monaca che ha impostato la voce di Caroline e ha cantato Cento Scalini nel disco, l’attore Emanuele Vezzoli.
Ritorno sull’incipit del post: chissà cosa avrebbe detto oggi Herbert di tutto quello che sta succedendo nel mondo. Ho voluto iniziare proprio con il suo pensiero espresso quasi 50 anni fa. Di passi avanti da allora non ce ne sono stati, piuttosto, tanti balzi all’indietro. Eppure, nella sua disarmante semplicità Pagani oggi è quanto mai attuale controcorrente nel suo gridare alla pace, alla fratellanza, all’amore per tutto ciò che sono l’uomo, la natura, il pianeta.
Caroline ha coltivato il suo messaggio, lo vuole tenere vivo, s’è assunta questa responsabilità per non dimenticare. Per lei Herbert è il fratellone, quello che la teneva sulle spalle, come testimonia la cover dell’album. A cui deve molto, soprattutto aver assimilato il concetto di libertà, che stava così a cuore al fratello.
I pensieri di Herbert oggi sono più che mai attuali!
«Sì, i suoi testi e le sue canzoni sembrano fatti oggi».
Raccontami di Pagani per Pagani…
«Il disco è frutto di un lavoro immenso durato due anni in cui ho cercato di raccogliere le canzoni più belle della produzione italiana e di quella francese, dove era molto più popolare. Il disco fisico è già uscito alcuni mesi fa, poche copie per gli appassionati, lì ci sono anche testi in prosa e in poesia, mentre nella “versione volatile” che uscirà il 29 novembre ci sono solo le tracce musicali».
Ho ascoltato Albergo a ore che tu canti accompagnata da Danilo Rea… Da attrice e cantante stai seguendo il filo artistico di tuo fratello…
«Ho sempre desiderato cantare le sue canzoni come questa, però fino a poco tempo fa non osavo. Le conoscevo a memoria da quando ero piccola, poi mi sono messa a studiarle con Francesca Della Monica che è una grandissima interprete, filosofa della voce e insegnante di voce e canto. Ho fatto una cosa che desideravo fare da una vita».
Quanti brani hai inciso nel disco?
«Cantati sono 19, uno è doppio, Un Capretto (Dona dona), brano sull’olocausto, perché c’è la versione in duetto con Moni Ovadia e Moni da solo».
Lo spettacolo Per amore dell’amore, dove parli di tuo fratello, è andato molto bene!
«Oltre le previsioni. Ha debuttato in anteprima al Teatro Comunale di Ferrara all’interno del Festival della Poesia e poi al Franco Parenti di Milano e sarà con una data secca all’Auditorium Parco della Musica di Roma il prossimo primo marzo. Ho cercato di fornire un ritratto il più possibile a 360 gradi della figura di Herbert, sulla sua attività artistica, perché molti non sanno che lui nasce come artista visivo, disegnatore, illustratore e poi pittore per poi dedicarsi anche alla canzone. Herbert realizzava delle opere d’arte, sculture, assemblaggi con materiali di scarto che andava a raccattare nelle discariche e sulle spiagge. Erano bellissime, coloratissime, molto attuali, graffianti e ironiche, in lui c’era la stanza delle arti plastiche, quella della radio (quando era conduttore a Radio Montecarlo) e l’altra delle canzoni. Nello spettacolo canto dieci brani molto belli, riarrangiati da Alessandro Nidi, e interpreto i suoi testi, le sue prose, le sue poesie sia sull’ecologia sia sul pacifismo. Ho cercato di ripercorrere un po’ tutto questo, parlando anche dell’origine di Herbert, del fatto che la nostra famiglia è stata espulsa da Gheddafi dalla Libia, si parla anche tanto delle città in cui ha vissuto, le ha cantate in una canzone dedicata alla solitudine nelle grandi città che è Serenata, s’è molto impegnato e battuto per la salvaguardia di Venezia su cui aveva realizzato un documentario (Venezia Amore Mio) per sensibilizzare sui pericoli che minacciano la Laguna. Ma anche di Tripoli, di Milano e di Parigi, queste ultime le sue due patrie del cuore. È uno spettacolo teatrale, un concerto e una specie di mostra virtuale perché vengono videoproiettate le sue opere e i filmati mentre le crea».
Come hai scelto gli artisti che hanno collaborato al disco?
«Fabio Concato l’ho incontrato a Musicultura, dal palco facevo la voce recitante di Ferradini che cantava una sua canzone (il testo di Teorema l’ha scritto Herbert, la musica è di Ferradini, cosa che lui non ricorda spesso…), era gentilissimo, un signore, e l’ho coinvolto per Da niente a niente (Volo AZ106). Danilo Rea, invece, perché mi piaceva moltissimo il suo arrangiamento di Albergo a Ore, ce ne sono tanti altri, addirittura una versione trap di Dargen D’Amico, il suo mi aveva presa perché creava un’atmosfera, è il più bell’accompagnamento che abbia mai sentito e poi l’ha fatto diverso – ancora più bello – rispetto a quello fatto con Gino Paoli. Giorgio Conte, invece, è arrivato perché Alessandro Nidi suona con lui: Ça fait trois Jours que j’ai pas fait l’amour cantata in francese mi sembrava perfetta per lui. Monia Ovadia perché mi sembrava adatto per la canzone sull’olocausto (Un Capretto – Dona Dona). Shel Shapiro ha dato quel tocco un po’ rock che ci voleva in Porta Via. Ho cercato di coinvolgere pure Vinicio Capossela, standogli dietro un anno; era interessato al progetto, ma il progetto non è andato in porto per i suoi impegni di lavoro. Nel disco fisico ci sono Emanuele Vezzoli che è un attore molto bravo con una bellissima voce e Francesca Della Monaca, la mia insegnante di canto che è una performer vocale pazzesca».
Se posso chiederti, visto che tuo fratello era un pacifista convinto, come vedi la situazione attuale in Israele?
«Mi hanno stufata tutti quanti, non ne posso più! Quella è una guerra atavica, temo che questa cosa non avrà mai fine. Io sono per la pace e basta, anche Herbert lo era… Non amo molto questi argomenti perché sono divisivi e io non mi schiero se non per la pace. Non so che cosa penserebbe Herbert oggi, perché è una storia molto, molto complessa che non conosco abbastanza e su cui non voglio esprimermi. So solo che i tre quarti degli israeliani sono contro il governo Netanyahu, quello è un dittatore».
Non per farmi gli affari tuoi, tuo fratello era un genio, tu hai una grande vena artistica… cosa pensavano i tuoi genitori?
«Hanno cercato in tutti i modi di dissuadermi. Insistevano perché facessi l’avvocato o la commercialista. Volevano che Herbert lavorasse con mio padre, motivo per cui si è ribellato e ha seguito il suo istinto, la sua anima, i suoi talenti… Avevo un nonno che era orefice e disegnatore ed Herbert è nato come disegnatore: faceva disegni molto visionari e precisi alla Escher e si manteneva vendendoli. Anche Fellini ne comprò uno!».