giovedì 10 ottobre 2024

"LA SCUOLA NON E' UN MERCATO DI VOTI"

"COME SI VALUTA IN UNA SCUOLA SENZA VOTI"

"fonte Orizzonte Scuola"

“Ricevere il voto per me è indifferente: l’interrogazione ha sempre lo stesso valore”, risponde uno studente. Gli fa eco un altro: “Non serve un voto a farmi capire se sono andato bene o male”. Un altro ancora osserva: “Senza il voto sono più propenso a focalizzarmi su ciò che è andato bene o male nella mia interrogazione”.

E ancora un’altra risposta: “Trovo che il metodo cooperativo sia utile per socializzare e ottenere più conoscenza”. Di più: “Mi sono anche divertito”. Si prosegue: “Dove non arrivi tu, arriva il tuo compagno”; “Puoi farti dare una mano”; “Puoi vedere come lavora il tuo compagno”; “Si impara insieme”. Avevamo iniziato in questo modo un nostro precedente servizio sull’esperienza della scuola senza voti. Per Ernestina Morello, docente di materie letterarie e latino presso l’Istituto d’istruzione secondaria Copernico-Luxemburg di Torino, le risposte dei suoi ragazzi del Liceo scientifico erano state commoventi. “La consapevolezza della mia scelta – rivela oggi la professoressa in questa intervista – si è fatta strada a partire da una vicenda personale e professionale molto dolorosa, che ha condiviso con me anche la mia famiglia. In una vecchia scuola in cui prestavo servizio mi erano stati sindacati dei voti e le famiglie e gli studenti avevano anche sollecitato l’intervento del dirigente scolastico che mi aveva chiesto di renderne conto in sede ufficiale. A nessuno interessava realmente la fondatezza del voto, ma si era innescata una gara al voto più alto, usato spesso e volentieri come ‘merce di scambio’ con i genitori per giovare di alcuni vantaggi, come ad esempio le uscite del sabato sera, la benzina al motorino, l’uso del cellulare… E ancora: “Era da moltissimo tempo che aspettavo la possibilità di realizzare questo progetto”. E ora questo progetto è diventato un libro.

Il volume, edito e distribuito da Amazon, s’intitola La scuola non è un mercato di voti: Resoconto di un anno di “Scuola senza voti” con indicazioni teoriche e pratiche per una valutazione. E’ stato scritto assieme al professor Roberto Trinchero, professore ordinario di Pedagogia sperimentale e Docimologia presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino. Stando alla presentazione dell’opera, il libro è indirizzato a quanti fra insegnanti, dirigenti scolastici, educatori, studenti e famiglie sono alla ricerca di una valutazione autentica, capace di rappresentare in modo coerente lo sviluppo degli apprendimenti e realmente finalizzata al successo formativo degli studenti. L’alternativa al voto è offerta dalla “valutazione proattiva” che si fonda sui principi teorici e pratici del cognitivismo e del costruttivismo. In questo libro Ernestina Morello racconta l’esperienza di “Scuola senza voti” condotta in collaborazione con il professor Trinchero, dell’Università degli Studi di Torino, accompagnandola con utili e pratici strumenti metodologici e di lavoro.

“I motivi che mi hanno spinta ad attuare la sperimentazione, oltre a quelli di natura docimologica – precisava Morello – sono la rincorsa al 10 e la commercializzazione del voto, che frustrano il piacere dell’apprendimento e dello stare insieme. Invece con questa metodologia il docente e lo studente lavorano di più. Il docente produce delle valutazioni non più numeriche ma descrittive sulla base dei processi cognitivi acquisiti e maturati e lo studente lavora per svilupparli e rinforzarli. I processi cognitivi sono essi stessi la finalità, oltre che la base, della conoscenza. Inoltre la valutazione descrittiva riduce il rischio di soggettività per il suo carattere discorsivo fondato sulle evidenze accertabili dai processi cognitivi”.

La valutazione descrittiva, infine, “è anche più inclusiva perché esprime un giudizio tecnico senza creare classifiche”, aveva spiegato la professoressa Morello nel nostro servizio che conteneva anche un’intervista al professor Roberto Trinchero, coautore oggi, come detto, del volume La scuola non è un mercato di voti. “L’idea della valutazione formativa – è la segnalazione del professor Trinchero – risale agli anni ’60 e negli ultimi anni ha ricevuto un’attenzione crescente, anche grazie al passaggio, nella scuola primaria, dal voto numerico ai giudizi descrittivi Questo ha agevolato il processo perché ha posto l’attenzione sul perché si valuta, più che sull’espressione della valutazione.

La funzione della valutazione – e lo dicono tutte le norme che la disciplinano – è una funzione formativa, cioè deve servire a migliorare gli apprendimenti. In questo senso il voto è del tutto inutile. Il voto può avere senso al termine di un percorso, come valutazione sommativa, ossia sintesi di quanto acquisito nel percorso stesso. Il voto in sé non fornisce indicazioni su come migliorare l’apprendimento, il giudizio descrittivo sì, fa capire in modo dettagliato quanto è stato appreso dagli studenti e quali sono i margini di miglioramento, li aiuta ad avere consapevolezza dei propri punti di forza e delle carenze del momento e quindi ad avviare un percorso migliorativo.

E’ dagli anni ‘90 che la normativa insiste sull’adozione di questa prospettiva valutativa. Il voto può essere utile al termine di un ciclo di studi, come certificazione finale, ma se dato all’interno di un percorso non adempie proprio a questa funzione”. Per Trinchero sono chiari i riferimenti normativi sulla valutazione che è bene avere sempre presenti. “Anzitutto lo Statuto delle Studentesse e degli Studenti della Scuola secondaria (DPR 249/98), che all’art. 2, comma 4 recita: «Lo studente ha […] diritto a una valutazione trasparente e tempestiva, volta ad attivare un processo di autovalutazione che lo conduca a individuare i propri punti di forza e di debolezza e a migliorare il proprio rendimento».

La trasparenza della valutazione si realizza con un giudizio descrittivo dettagliato. Un “7” o un “8” sono tutto fuorché trasparenti. Il DL 62/2017 all’art. 1, comma 1, recita: «La valutazione ha per oggetto il processo formativo e i risultati di apprendimento delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti delle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione e formazione, ha finalità formativa ed educativa e concorre al miglioramento degli apprendimenti e al successo formativo degli stessi, documenta lo sviluppo dell’identità personale e promuove la autovalutazione di ciascuno in relazione alle acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze» e all’art. 2, comma 1, aggiunge: «La valutazione periodica e finale degli apprendimenti delle alunne e degli alunni nel primo ciclo, ivi compresa la valutazione dell’esame di Stato, per ciascuna delle discipline di studio previste dalle Indicazioni Nazionali per il curricolo, è espressa con votazioni in decimi che indicano differenti livelli di apprendimento».

Anche qui la normativa è molto chiara: si valuta per migliorare gli apprendimenti, documentare lo sviluppo dell’identità personale e promuovere l’autovalutazione. In tal senso solo sulle schede di valutazione periodica e finale devono essere espresse votazioni in decimi e comunque questi devono essere «correlati alla esplicitazione dei livelli di apprendimento raggiunti dall’alunno» (Schede di approfondimento ai decreti attuativi de ‘La Buona Scuola’, disponibili sul sito MIM). Quindi il voto va inteso come sintesi periodica e finale di giudizi descrittivi relativi ai livelli di apprendimento e non come unica espressione della valutazione”. E ancora: la normativa non proibisce i voti né dice all’insegnante come deve valutare. “La normativa – secondo Trinchero – dice semplicemente: devi scegliere una forma di valutazione che concorra a migliorare gli apprendimenti, documentare lo sviluppo dell’identità personale e promuovere l’autovalutazione. L’insegnante può scegliere, ed è giusto che possa farlo. Però, nello scegliere, deve orientarsi verso quelle forme di valutazione che sono coerenti con le finalità espresse dalla normativa. Non vedo proprio come un voto numerico assegnato alla singola prova dello studente possa esserlo, se non viene accompagnato da un solido giudizio descrittivo che riporti in modo chiaro gli obiettivi raggiunti e quelli in via di raggiungimento. Se il docente si limita a dare un voto senza fornire una chiara esplicitazione dei livelli di apprendimento raggiunti dall’alunno non sta ottemperando nel modo migliore alla normativa. Non sto dicendo che l’insegnante non deve dare il voto – ci mancherebbe – ma che quello che conta è il giudizio descrittivo che lo accompagna, e soprattutto laddove vi è il giudizio descrittivo non vi è alcun obbligo di dare un voto nella singola prova”.

Professoressa Ernestina Morello, il libro s’intitola La scuola non è un mercato di voti, con quel che segue. Perché questo titolo?

“Perché il voto spesso diventa oggetto di trattativa tra i docenti – quando la media matematica non è perfetta – tra i docenti e gli studenti, con le loro famiglie, nella rincorsa al 10. In questo modo va fuori fuoco il reale obiettivo della scuola che è l’apprendimento per la crescita personale dell’individuo”. 

Che cos’è la valutazione sommativa?

“La valutazione sommativa è quella espressa attraverso il voto numerico ed è la più diffusa nella scuola. La valutazione di fine anno consiste solitamente nella media dei voti di singole prove, isolate e circostanziate, che non rende l’evoluzione degli apprendimenti che sono il frutto di una lenta e graduale acquisizione nel tempo. Inoltre il voto numerico non spiega i cosiddetti punti di forza e di debolezza degli studenti, non indicando allo studente come orientare il suo apprendimento. Solo alla fine del percorso il voto numerico può essere assunto a indicatore, in qualità di somma finale, nel senso di bilancio degli apprendimenti dello studente, fermo restando che questo voto rispecchi degli obiettivi stabiliti a priori raggruppati in fasce di livello corrispondenti a una scala numerica. Quindi, prima deve venire la valutazione descrittiva, poi il voto; non il contrario”.

Che cos’è invece la valutazione formativa?

“La valutazione formativa, come dice l’aggettivo, serve a formare lo studente, nel senso che fornisce indicazioni sui punti da rinforzare, consolidare e potenziare. È per natura descrittiva in quanto è espressa attraverso criteri estesi e discorsivi che, nel caso del metodo proattivo proposto dal professor Roberto Trinchero, afferiscono ai processi cognitivi, declinati secondo le specificità di ogni disciplina, che l’insegnante intende sviluppare negli studenti”.

Che cos’è la Scuola senza voti?

“La Scuola senza voti è una scuola dove si dà priorità al processo di apprendimento piuttosto che al risultato. Il culto del voto nella nostra scuola ha condotto a un’esaltazione della performance che distoglie dal vero obiettivo della scuola, ossia l’apprendimento. La scuola non serve a stilare classifiche tra alunni più bravi e meno bravi, ma a dare a tutti gli strumenti giusti per apprendere. La valutazione formativa è a difesa e a salvaguardia del valore democratico della scuola e direi anche della vita stessa degli studenti, spesso oppressi dalle aspettative esterne, e del loro futuro al di fuori della scuola”.

In che cosa consiste la valutazione proattiva?

“In latino il prefisso pro- ha un duplice significato: prima e in favore di. La valutazione proattiva li fonde entrambi in quanto prima di tutto l’insegnante deve stabilire a priori, attraverso i descrittori selezionati, i criteri su cui condurre la sua azione didattica che è in stretta correlazione con l’apprendimento degli studenti. Nella valutazione proattiva, pratica didattica e apprendimento convergono verso un unico scopo secondo gli stessi criteri. E lo scopo è finalizzato al potenziamento cognitivo di tutti, a partire dai loro substrati personali”.

Perché ha sentito questa necessità?

“L’adesione alla valutazione formativa in generale, e alla valutazione proattiva in particolare, è nata da un mio bisogno prima di tutto di una valutazione autentica che realmente rappresentasse gli apprendimenti degli studenti e la loro evoluzione e avesse come scopo prioritario la loro formazione, ma anche da dal bisogno di trovare una forma di valutazione esplicita fondata sui principi della conoscenza. La consapevolezza della mia scelta si è fatta strada a partire da una vicenda personale e professionale molto dolorosa, che ha condiviso con me anche la mia famiglia. In una vecchia scuola in cui prestavo servizio mi erano stati sindacati dei voti e le famiglie e gli studenti avevano anche sollecitato l’intervento del dirigente scolastico che mi aveva chiesto di renderne conto in sede ufficiale. A nessuno interessava realmente la fondatezza del voto, ma si era innescata una gara al voto più alto, usato spesso e volentieri come ‘merce di scambio’ con i genitori per giovare di alcuni vantaggi, come ad esempio le uscite del sabato sera, la benzina al motorino, l’uso del cellulare…

D’altra parte i genitori, come ho potuto constatare più volte nella mia carriera, spesso assimilano i risultati scolastici alla loro capacità genitoriale, non comprendendo sempre appieno che l’apprendimento è un fatto complesso, non nel senso di difficile – anche se a volte può oggettivamente esserlo – ma nel senso di articolato, interconnesso e dinamico. A partire da questa vicenda, quindi, ho iniziato a pensare che l’abolizione del voto potesse essere utile a evitare frizioni e a riportare l’attenzione sul vero scopo della valutazione, ossia l’apprendimento, non il conferimento di un trofeo o, all’opposto, di una pena. E per fare questo occorreva portare alla luce e dare rilievo a ciò che si nasconde sotto il voto. Ho studiato, frequentato convegni, assistito alle lezioni del professor Trinchero e ora, con la sua collaborazione, ho anche scritto un libro raccogliendo la mia esperienza didattica con annessi tutti i suoi insegnamenti, per cui ora posso dire che la mia conversione alla valutazione proattiva è fondata su un’assoluta consapevolezza”.

In che cosa consiste il CAE (Ciclo di Apprendimento Esperienziale), di cui parlate nel libro?

“Il CAE è una strategia di insegnamento-apprendimento basato sul costruttivismo, ossia sulla pedagogia del lavorare insieme, e sull’esperienza diretta di costruzione del sapere. Gli studenti, divisi in piccoli gruppi, esaminano e analizzano un problema (matematico, di storia…), interpretandolo nelle sue sfaccettature e cercando delle soluzioni. Terminata la fase di ricerca cooperativa, il portavoce di ogni gruppo espone i risultati che, con la regia dell’insegnante, vengono dibattuti in classe e riportati su una tabella alla lavagna suddivisa in due colonne: Idee corrette; Idee discutibili. Come afferma il professor Trinchero, non esistono idee sbagliate, o almeno completamente sbagliate, in quanto una parte di verità, benché minima o parziale, c’è sempre. In ogni caso, anche l’errore ha una funziona importante in quanto consente di esercitare l’autocorrezione e di vagliare strade epistemologiche alternative. In questo modo il CAE, oltre a esercitare la cognizione, potenzia contemporaneamente la metacognizione, ossia la capacità di formulare in modo consapevole il pensiero e di riflettere sulle azioni procedurali adottate e adottabili”.

Ma come si costruisce una griglia di valutazione descrittiva?

“Innanzitutto bisogna partire dalle rubriche R-I-Z-A del professor Trinchero, pubblicate sul sito Edurete.org, che raccolgono tutti i possibili processi cognitivi coinvolti nell’apprendimento. Dalle rubriche l’insegnante deve selezionare i processi che intende sviluppare nei suoi allievi declinandoli secondo i contenuti della sua disciplina e formulare i cosiddetti descrittori per fasce di livello su scala numerica. Le prime a essere elaborate devono essere quelle del 6 e del 9, che costituiscono il punto di riferimento per le altre. Infatti le altre fasce sono costruite per aggiunta di processi nelle fasce di livello superiore e per difetto di processi nelle fasce di livello inferiore, vale a dire che nelle fasce superiori sono inserite competenze via via più alte, in quelle inferiori sono segnalate invece, a seconda della gravità, difficoltà e/o carenze”.

Lei parla di stimoli e di domande maieutiche nel processo di apprendimento dei suoi allievi. Potrebbe fare degli esempi pratici?

“È più facile che un concetto permanga nella memoria duratura se è partorito da sé attraverso la sperimentazione diretta della conoscenza. Nella fase di ricerca epistemologica dello studente, l’insegnante ha il ruolo di guida. Innanzitutto non deve mai svalutare il concetto dello studente, ma – come insegna la professoressa Bice Mortara Garavelli – parafrasare il suo pensiero, ossia esprimerlo in altra forma, perché ne avverta da solo l’incongruenza. Eliminato l’ostacolo, l’insegnante deve valorizzare ciò che è potenzialmente utile per lo studente a supportarlo verso la soluzione del problema”.

Faccia un esempio

“Per esempio: lo studente afferma: La globalizzazione favorisce il confronto. L’insegnante allora parafrasa la sua affermazione in questo modo: Vuoi dire che la globalizzazione permette alle persone di confrontarsi tra di loro? Lo studente: Sì. E lo permette a tutti?, indaga l’insegnante. “Sì” risponde ancora lo studente, ma forse inizia a nutrire un sano sospetto. “Anche ai ragazzi dei paesi in via di sviluppo che non sempre dispongono di un dispositivo e di internet?”. In questo modo emerge anche l’elemento che restava oscuro nell’affermazione iniziale dello studente, cioè che all’aumento delle relazioni a livello planetario si accompagna anche una disparità fra popoli e classi sociali”.

Quanto è importante, secondo la sua visione, l’autovalutazione e l’autocorrezione degli studenti?

“Si parla spesso nella scuola di autonomia dello studente. Ebbene, l’autovalutazione – cioè la capacità di valutare il proprio lavoro – e l’autocorrezione – che è la capacità di correggersi – sono il cuore dell’autonomia. Nel libro parto da una metafora culinaria per spiegare come senza autovalutazione e senza autocorrezione non ci sarebbero i margini per quel miglioramento personale che è alla base dell’indipendenza e di una buona formazione”.

Dalla cucina alla matematica. La quale, scrive lei nel libro, non è misura di tutte le cose.

“No, non lo è. Nutriamo l’illusione che il calcolo matematico sia garanzia di oggettività, ma bisogna considerare da cosa questo calcolo scaturisce. Prima di tutto l’acquisizione di semplici nozioni non assicura la comprensione delle stesse e lo sviluppo delle competenze. Inoltre il mero calcolo matematico non permette di fare la distinzione né tra i processi acquisiti e quelli ancora da acquisire né tra la loro tipologia, facendo un minestrone di tutto o, per dirla come il professor Trinchero, mettendo insieme carote e cavolfiori”.

Come è nata questa sua esperienza scolastica?

“I post divulgativi del professor Trinchero, soprattutto nella fase buia di cui ho parlato prima, mi facevano ancora nutrire la speranza in una scuola nuova, finché un giorno non ho deciso di scrivergli su Messenger per chiedergli aiuto a realizzare il progetto. Ho avanzato poi la proposta al mio attuale dirigente scolastico, il professor Fulvio Genero, che già dal nostro primo incontro con mia grande felicità si era rivelato aperto alle innovazioni e che già conosceva le teorie del professor Trinchero avendo da docente seguito la sua formazione. Di comune accordo abbiamo deciso di avviare la sperimentazione su una classe prima del Liceo Scientifico”.

Quali riscontri ha avuto?

“I riscontri sono stati eccezionali e lo sono ad oggi, dal momento che da quest’anno ho esteso la valutazione a tutte le mie classi nelle mie discipline: Italiano, Geostoria, Latino. Anche i ragazzi che hanno iniziato quest’anno con la valutazione descrittiva dimostrano di aver acquisito già una certa dimestichezza con i descrittori. Proiettiamo alla LIM la griglia e valutiamo insieme le prove: in questo modo rinforzano, oltre che i processi, la loro consapevolezza e il loro senso di autoefficacia”.

Non hai mai incontrato difficoltà con gli studenti e con le famiglie?

“I giovani sono per natura più aperti alle novità, fermo restando che non vengano influenzati dagli adulti che spesso rimangono ancorati alla loro idea di scuola, fondata su pedagogie e strategie ormai superate”.

E con i suoi colleghi?

“All’inizio il mio metodo ha suscitato molte perplessità e anche paure. Penso che la determinazione e la costanza nel portare avanti il progetto, nonostante le critiche e le difficoltà, mi abbiano valso la stima e la fiducia dei colleghi. Inoltre, e forse questo è l’aspetto più importante, nella mia scuola la libertà di insegnamento è ancora considerata un valore fondante, diversamente da altre realtà come ho potuto tristemente constatare in prima persona”.

Quale contributo potrebbe dare il suo libro agli insegnanti che volessero accostarsi a questo metodo di valutazione?

“Il libro offre le basi scientifiche su cui si fonda il metodo e le indicazioni operative per metterlo in pratica”.

 

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