Le piramidi d’Egitto sono uno degli elementi architettonici dell’antichità che maggiormente tornano alla memoria quando si parla di civiltà passate. Non a caso le piramidi di Giza sono una delle sette meraviglie del mondo. Strutture così imponenti sottolineano l’avanzata capacità tecnica degli egizi, che migliaia di anni addietro furono capaci di costruire qualcosa che anche oggi, con le attuali conoscenze e tecnologie, saremmo in difficoltà a riprodurre. Non a caso alcune stravaganti teorie ritengono la loro costruzione sia dovuta agli alieni. Grande artefice dello sviluppo di quella società è stato il fiume Nilo che da sempre è una sorta di autostrada d’acqua in pieno deserto, in grado di rendere fertile un territorio altrimenti inospitale. I misteri delle piramidi sono stati in buona parte svelati dagli archeologi, ma molti altri sono gli interrogativi che rimangono senza risposta. Lo stesso vale per il grande fiume, che si è scoperto pare sia stato determinante proprio per la costruzione di questi mastodontici mausolei.
Lo studio sulla costruzione delle piramidi
Le piramidi di Giza sono visitate ogni anno da 15 milioni di visitatori e trovarsi al loro cospetto fa sorgere naturale un interrogativo: come è stata possibile la loro costruzione? Quei pesantissimi blocchi di granito non dovevano solo essere spostati per molti km attraverso il deserto, ma anche issati fino ad altezze vertiginose. Una risposta arriva da un nuovo studio pubblicato sulla rivista Communications Earth & Environment il 16 maggio 2024. Pare che quelle piramidi furono costruite su un ramo del Nilo che oggi non esiste più. Quest’ultimo è stato chiamato Ahramat, che in arabo significa proprio “piramidi”. L’équipe internazionale che ha curato il lavoro, guidata dalla geomorfologa dell’Università del Nord Carolina-Wilmington Eman Ghoneim, ha scoperto come la presenza di tale fiume avrebbe reso logisticamente possibile la realizzazione delle celeberrime strutture, oggi distanti circa 8 km dalla sede fluviale. Da tempo si sospettava potesse esserci un corso d’acqua ormai sparito che costeggiava la piana di Giza, che avrebbe reso possibile l’opera. Ciò che mancava erano le prove scientifiche. Almeno fino a quando una nuova tecnologia laser ha dato le risposte tanto attese. Il radar ha permesso agli archeologi di penetrare la superficie sabbiosa e produrre immagini di caratteristiche nascoste, tra cui fiumi sepolti e strutture antiche.
Il ramo del Nilo scomparso nel deserto
Il ramo del Nilo sepolto dalla sabbia e ribattezzato oggi Ahramat è stato con ogni probabilità sepolto dalla sabbia del deserto a causa di una grande siccità che colpì la zona 4.200 anni fa. A quanto emerso, lungo la fascia che collega Giza e la sede di altri complessi piramidali El-Lisht correva il canale naturale di ben 64 chilometri e di larghezza variabile tra i 200 e i 700 metri. Nessuno fino a oggi era certo della posizione, della forma, delle dimensioni o della vicinanza di questo mega corso d’acqua al sito reale delle piramidi. Nel suo percorso sfiorava 31 piramidi erette fra 4.700 e 3.700 anni fa. Il tracciato spiegherebbe l’alta densità di queste gigantesche costruzioni in quella zona e, al contempo, come gli antichi fecero a realizzarle. L’Egitto si conferma così un territorio dalle inestimabili ricchezze archeologiche, forse seconde solamente ai suoi grandi misteri. E gli interrogativi riguardano da sempre non solo le mummie dell’antico Egitto, ma anche il loro fiume, culla di una gloriosa civiltà scomparsa e al contempo sempre presente nell’immaginario collettivo.