a cura di Roberto Filippis (fonte Gazzetta dello Sport)
Chi pratica sport di squadra sa benissimo che per ottenere successi la coesione del gruppo è fondamentale. In un team compatto e focalizzato sul raggiungimento dell’obiettivo, ciascuno riesce a esprimersi al massimo e a dare il meglio per sé e per i compagni. Quando queste condizioni si verificano, il tutto (cioè il gruppo) è superiore alla somma delle sue parti (ossia i singoli). Che cosa possono fare i singoli atleti per dare il massimo per il proprio team, ottenendo da ciò anche gratificazioni personali?
UN GRUPPO SANO—Perché un gruppo sportivo possa essere definito unito e coeso deve fondarsi su tre elementi fondamentali. Il primo è l’interazione: tra i diversi compagni di squadra sono imprescindibili sia la comunicazione sia la collaborazione per arrivare agli obiettivi che ci si prefigge. Il secondo è l’interdipendenza, che si matura attraverso la conoscenza dei compagni. Tale conoscenza non deve essere superficiale, ma approfondita e deve comprendere anche le emozioni, i sentimenti e i principali aspetti del carattere dei membri del proprio team. “L’interdipendenza è un processo che passa anche attraverso momenti difficili, quali tensioni e conflitti, e il loro superamento, che può richiedere o meno l’intervento dell’allenatore” precisa il dottor Massimo Servadio, mental trainer Fitp (Federazione Italiana Tennis e Padel) e psicoterapeuta che collabora con Palazzo della Salute – Wellness Clinic di Milano. Il terzo elemento fondamentale per la coesione di un gruppo è l’integrazione. Con questo termine si intende la messa in campo di comportamenti virtuosi ed efficaci, attuati in modo automatico e con le giuste tempistiche da parte di tutti i componenti della squadra.
CONOSCENZA APPROFONDITA— Per essere un buon compagno di squadra è innanzitutto fondamentale riconoscere che gli altri membri del team sono soggetti diversi dal proprio sé. “Per relazionarsi al meglio con i compagni è necessario un equilibrato mix di autoregolazione di sé e della propria emotività e la regolazione con gli altri. In un gruppo, al centro di tutto, non devono esserci le caratteristiche dei singoli giocatori, bensì la relazione tra i compagni e con i compagni” osserva il dottor Servadio. In una squadra la conciliazione delle esigenze personali con quelle collettive deve essere il risultato finale, che passa attraverso la conoscenza reciproca dei membri del gruppo anche degli aspetti più intimi della personalità. In quest’ottica, per farsi un’idea del carattere di un compagno è importante osservare le reazioni che ha nelle varie situazioni in cui si viene a trovare. È fondamentale conciliare le esigenze del gruppo con quelle personali, ma senza snaturarsi, altrimenti a rimetterci è tutto il team.
RUOLI DA RISPETTARE— In quelli sportivi, al pari degli altri gruppi, tendono a definirsi ruoli che non sono necessariamente formalizzati. Per esempio, ci sono i conciliatori, gli strateghi (che spesso, ma non sempre, sono gli allenatori) e gli influenzatori (influencer). Attraverso diverse modalità, questi ultimi sono in grado di rappresentare una stella polare per i compagni. “Un’abilità fondamentale di cui dovrebbe essere in possesso o dovrebbe cercare di sviluppare chi pratica sport di squadra è la capacità di lettura degli accadimenti visibili e non visibili che avvengono nel team. Avere persone dotate di questa consapevolezza situazionale è d’aiuto a tutto il gruppo” sottolinea il dottor Servadio. È attraverso un approccio olistico, che dunque coinvolge anche altre funzioni oltre a quella psichica, che è possibile diventare un compagno di squadra migliore. “Bisogna concentrarsi non solo sulle proprie risorse emotive, quali la motivazione, la fiducia in se stessi, l’autocontrollo, ma anche su quelle cognitive, la capacità di attenzione e di prendere decisioni. E su quelle comportamentali, legate all’esecuzione dei gesti tecnici” conclude l’esperto.