In vent’anni abbiamo dimezzato i giovani che lasciano il sistema scolastico con la licenza media, o poco più, in mano. Ma siamo ancora tra i fanalini di coda dell’Unione Europea in tema di dispersione scolastica: gli ultimi dati Eurostat a disposizione, relativi al 2022, ci dicono che oltre 1 giovane su 10 - più precisamente l’11,5% - nella fascia d’età 11-24 anni ha lasciato prematuramente il sistema educativo-formativo.
Una percentuale che ci colloca al quinto posto tra i Paesi UE per tasso di abbandono, quasi due punti oltre la media comunitaria, che attualmente si attesta al 9,6%.
Per il futuro ci sono segnali di speranza
Tuttavia, ci sono alcuni elementi che invitano a un cauto ottimismo. Il primo: la nostra nazione ha abbondantemente raggiunto l’obiettivo fissato per lei a livello comunitario per il 2020, che era del 16%. Oggi, quindi, facciamo ben cinque punti meglio del previsto. E attendiamo di vedere cosa accadrà nel 2030, quando il target sarà al 9%. Ci sono, però, buone chance che ci si possa arrivare.
Inoltre, pur sottolineando che partivamo da una situazione drammatica - nel 2002 il tasso di dispersione scolastica italiano era al 24%, a fronte di una media UE del 17% - va evidenziato che in dieci anni siamo riusciti a più che dimezzare quel numero.
E poi va considerato l’andamento di questo parametro, che vede il nostro Paese viaggiare più velocemente dei suoi diretti competitor. Innanzitutto, in una manciata di anni, siamo passati dal terzultimo al quintultimo posto della classifica, ponendoci davanti a una corazzata come la Germania e a un nostro storico punto di riferimento quale è la Spagna. In più, nel post pandemia, siamo tra i pochi ad aver ulteriormente abbassato la platea dei “dispersi”. Il segno della buona risposta che, tutto sommato, il nostro sistema scolastico ha saputo dare all’emergenza. Cosa che, invece, non sembrano aver fatto altre nazioni con cui ci dobbiamo confrontare, come ad esempio la stessa Germania o l’Ungheria.
In alcune aree del Paese la situazione è drammatica
Attenzione, però: non è dappertutto così. Come fa notare un'analisi dei dati effettuata dal portale Skuola.net, il fenomeno della dispersione scolastica segue, infatti, le consuete differenze territoriali. Così, se da una parte alcune regioni italiane si trovano già al di sotto delle soglie stabilite in sede UE, altre ancora non hanno raggiunto l’obiettivo minimo. A registrare livelli inferiori al 10% troviamo dieci regioni: Lombardia (9,9%), Veneto (9,5%), Emilia-Romagna (9,5%), Abruzzo (9,3%), Molise (8,3%), Friuli-Venezia Giulia (7,7%), Lazio (7,4%), Umbria (7,3%), Marche (5,8%), e Basilicata (5,3%).
Al contrario, il problema è molto più ricorrente in alcune parti del Paese, che come al solito si trovano soprattutto nelle aree storicamente più in difficoltà: nelle regioni del Sud la dispersione sale al 13,8% di media, nelle Isole è addirittura al 17,9%. In entrambi i casi, neanche a dirlo, lontanissime dal target. Più in dettaglio, si segnalano per i numeri peggiori la Sicilia e Campania, dove i giovani che hanno lasciato prima del tempo la scuola sono, rispettivamente, quasi il 19% e più del 16%. A seguire, troviamo la Sardegna e la Puglia, entrambe con circa il 15% di uscite precoci. Singolare quel che accade in Valle d’Aosta, che con una dispersione al 13,3% si colloca al di sopra della media nazionale
Numeri questi che, inevitabilmente, si riflettono sulle prospettive occupazionali di questi ragazzi. Visto che, lo dicono le statistiche, tra le due cose c’è una forte correlazione. Tra il 2008 e il 2020, ad esempio, il tasso di collocamento dei giovani 18-24enni che hanno lasciato la scuola prima del tempo è crollato, passando dal 51% al 33,2%.
Dispersione "implicita": un fenomeno da non sottovalutare
Per chiudere il quadro, infine, non si può non parlare di un tipo di allontanamenti scolastico che non sempre si vede ma che fa gli stessi danni di quello ufficiale. È la cosiddetta dispersione “implicita”, che investe quegli alunni che, pur completando il percorso di studi, non raggiungono competenze adeguate per il loro livello formativo, nelle discipline chiave per il futuro.
A misurarla, in questo caso, sono gli esiti delle Prove INVALSI. Che ci dicono che, in quinto superiore, addirittura la metà dei diplomandi non arriva ai livelli attesi in almeno una delle tre discipline osservate (matematica, italiano, inglese). E che quasi 1 su 10 non raggiunge la sufficienza in tutte e tre le materie contemporaneamente. Con dei picchi nei contesti sociali più svantaggiati e, di nuovo, nel Mezzogiorno: Campania, Calabria, Sicilia, Sardegna in maniera particolare. Un nemico in più nella lotta contro la dispersione giovanile.