a cura di Giorgio Rondelli (fonte Gazzetta dello Sport)
Sulla corsa in salita e in discesa si sanno molte cose, ma spesso si tende anche a banalizzarle restando ancorati ad alcuni luoghi comuni. Proviamo ad analizzare le due diverse situazioni e vediamo cosa serve sapere in allenamento e in gara.
CORSA IN SALITA—Soprattutto se lunga e con pendenze impegnative, la salita è una sfida anche contro sé stessi. Naturalmente la velocità è ridotta, perché secondo la legge fisica del lavoro muscolare occorre impiegare una forza maggiore per effettuare, in termini metrici, lo stesso spostamento effettuato sul piano. Ed è qui che entra in gioco il peso corporeo dell'atleta. Più un corridore è pesante, maggiore sarà il suo dispendio muscolare rispetto a un altro atleta che magari sul piano ha i medesimi valori, ma anche meno chili di peso da portarsi dietro quando la strada sale.
BIOMECCANICA IN SALITA— Dal punto di vista biomeccanico, in salita si deve correre con il busto sbilanciato in avanti e quindi con il baricentro avanzato. Oltre che, per forza di cose, con una falcata ridotta. Il tutto rapportato alle pendenze da affrontare e alla lunghezza della salita. Su salite brevi ed eseguite in forma di prove ripetute e veloci, per esempio, il discorso può cambiare in modo radicale. In questo caso, l’ampiezza della falcata può essere più o meno uguale a quella espressa in una corsa sul piano. Un altro tema da tenere presente sotto l’aspetto biomeccanico è che gli angoli delle varie articolazioni, ginocchio, anca e caviglia, si chiudono maggiormente durante la fase di appoggio al suolo per poi aprirsi in fase di spinta. Soprattutto per l’intervento del vasto mediale e del gastrocnemio, ma anche dei glutei e dell’ileopsoas. In salita, la fase aerea è naturalmente ridotta rispetto a una corsa sul piano, mentre per forza di cose l’appoggio viene effettuato con l’avampiede.
CORSA IN DISCESA— Quando si corre in discesa, cambia tutto. La fase aerea diventa più lunga di quella normale e si tende ad appoggiare il retro del piede. Naturalmente si possono raggiungere velocità molto più elevate di quelle sul piano, a patto però che le pendenze non siano troppo impegnative e non arrivino oltre il 20%. In questi casi, il costo energetico sale parecchio. Grandi interpreti della corsa in discesa sono certamente i top runner del trail e delle corse in montagna, che hanno una biomeccanica più efficace con la postura del tronco più sbilanciata in avanti e un appoggio reattivo con il mesopiede. Tenendo il ginocchio più flesso, riducono la forza-impatto con il suolo al momento della frenata e si stancano di meno. In discesa le maggiori sollecitazioni sono, invece, a carico delle articolazioni della gamba e della colonna vertebrale. Di sicuro la corsa in discesa è poco utilizzata nelle metodiche di allenamento attuali, probabilmente per scarsa conoscenza su come gestirla e sui benefici che se ne possono trarre. Uno di questi è migliorare la capacità biomeccanica delle fasi di atterraggio e spinta. Per farlo bisogna però avere anche un ottimo tono della muscolatura posturale: addominali, lombari e obliqui. In realtà la corsa in discesa è un ottimo esercizio per migliorare i tempi di appoggio al suolo e per sollecitare il sistema nervoso. Naturalmente, su pendenze ridotte (l’1% o il 2%). Inoltre, abitua gli atleti anche a tenere il bacino basso e a non stare arretrati con le spalle, in modo da avere il busto sempre impostato in avanti per non sovraccaricare la schiena. Un ultimo accorgimento da tenere presente è cercare di attuare l’appoggio al suolo con il mesopiede e non con la punta. Per non affaticare troppo i tibiali.