di Federico Mereta (fonte Libero)
A volte, il ricordo ci appare nitido, anche se magari non abbiamo fatto alcuno sforzo per fissarlo nella mente. In altri casi, magari perché teniamo a conservare una determinata immagine o il suono di una canzone, ci sforziamo di richiamarlo e ci impegniamo per ritrovarlo. Sia come sia, la memoria e la capacità di ricordare è uno dei misteri più affascinanti del sistema nervoso umano. E soprattutto, nel mondo dell’invisibile, cosa accade ai neuroni quando inseriamo nuovi ricordi?
Una spiegazione arriva da una ricerca apparsa su Current Biology coordinata da Tomás Ryan del Trinity College di Dublino. Lo studio spiega come si formino costantemente nuovi modelli di connessione tra specifiche unità neurobiologiche, le cosiddette cellule engram, in aree diverse del cervello.
I neuroni e le sinapsi
Il cervello umano contiene almeno 100 miliardi di cellule nervose, i neuroni, anche se c’è chi pensa siano molte di più. Ma l’importante non è solamente il numero delle cellule, ma anche come sono collegate tra loro. Ogni neurone infatti può essere collegato con altri 60.000 e arrivare ad incamerare un milione di dati con messaggi che viaggiano alla velocità di 470 chilometri l’ora. A mantenere questi stretti contatti tra una cellule e moltissime altre simili sono gli oltre cento miliardi di “saldature” specializzate, che in termine tecnico vengono chiamate sinapsi.
Il mistero della formazione dei ricordi
La domanda da cui sono partiti gli esperti è semplice ed al contempo davvero affascinante: come possiamo giungere ai ricordi da un’esperienza che modifica i nostri neuroni? Secondo la scienza un mutamento indotto nel cervello dalla messa a regime di un ricordo viene definito engramma, con conseguente possibilità di essere richiamato. Secondo gli esperti ci sono cellule specializzate, chiamate appunto cellule engram, che hanno il compito di modificarsi per trattenere le esperienze. Si tratta di gruppi di cellule cerebrali che rispondono attivate da esperienze specifiche. Quindi proprio grazie alla loro riattivazione si arriva a ricordare. Nello studio sono state utilizzate tecniche specifiche, che hanno permesso di evidenziare due diverse popolazioni di cellule engramiche nel cervello per due memorie distinte, e poi ha monitorato il modo in cui l’apprendimento si manifestava nella formazione di nuove connessioni tra quelle cellule engramiche. Si è visto in particolare che ci sarebbe specifica proteina situata nella sinapsi coinvolta nella regolazione della connettività tra le cellule engramiche. Questo studio fornisce prove dirette dei cambiamenti nella connettività di particolare attività delle sinapsi tra le cellule engramiche da considerare come un probabile meccanismo per l’immagazzinamento della memoria nel cervello.
La memoria a breve e lungo termine
Quando si parla di memoria, in ogni caso, tenete presente che non tutte le forme di memoria sono identiche. Nel caso della memoria a breve termine, stimoli deboli o comunque non ritenuti significativi inducono una risposta mnemonica di breve durata, che può durare al massimo tre-quattro ore, perché nelle sinapsi (i punti di contatto di una cellula con le altre) della cellula nervosa interessata si liberano neurotrasmettitori, particolari sostanze capaci di amplificare il riflesso mnemonico. Per questo, ad esempio, ci possiamo ricordare un numero di telefono subito dopo averlo fatto, ma poi la dimentichiamo perché questa forma di ricordo si dipende in pochi minuti. Perché la memoria rimanga “fissata” nel cervello, invece, occorrono alcuni passaggi in più fino ad arrivare in una specie di “centralina” di smistamento dei ricordi a lungo termine. Questa centralina è l’ippocampo, un piccolo organo, così chiamato perché assomiglia a un cavalluccio marino, è situato nella parte profonda del cervello ed è più piccolo in chi soffre di amnesia rispetto ai sani. Infine occorre “depositare” il ricordo, spesso nella zona del cervello che sta dietro la tempia, dove le informazioni vengono rielaborate, e quindi rese disponibili in caso di necessità.
Un test su misura per la memoria
Quando avete iniziato ad avere qualche difficoltà a ricordare? Cosa avete fatto per fronteggiare queste carenze? Per caso avete avuto traumi fisici o psicologici, magari con perdite o cambiamenti nelle abitudini di vita? Dormite saporitamente, e per tutta la notte, sta diventando un’impresa? Avete iniziato ad assumere nuovi farmaci? Se bevete alcolici, quanti bicchieri? Tranquilli, non è un vero e proprio interrogatorio ma piuttosto alcune delle molte domande che emergono da un questionario in grado di aiutare chi comincia a perdere qualche colpo sul fronte della memoria. Ad indicare queste e molte altre questioni, ricordando che potrebbero venir proposte dagli esperti, è il sito web della prestigiosa Mayo Clinic. L’obiettivo del test è portare l’attenzione sui deficit della memoria, tenendo presente che quando si invecchia avere qualche difficoltà è normale, specie se esistono meccanismi che possono agevolare piccoli deficit. Per questo bisogna parlarne con il medico. Per fortuna, non sempre si parla di problemi seri legati a processi degenerativi. Ma è utile fare un “check” per vedere come vanno le cose. Gli studiosi americani, peraltro, segnalano altri aspetti che debbono mettere in guardia: ad esempio bisogna fare attenzione se l’umore è il comportamento si modificano di colpo senza che nulla sia accaduto, se si mettono gli oggetti fuori posto rispetto alla normale, se si ripetono sempre le stesse domande. Magari sono piccoli segnali che, legandosi al calo della memoria, potrebbero indicare che ci vuole attenzione.
Alimentazione sana e lotta allo stress per la memoria
Perché la memoria funzioni al meglio, bisogna anche che i segnali corrano rapidamente tra le sinapsi grazie ai neurotrasmettitori, come l’acetilcolina, la dopamina, la serotonina, la noradrenalina e il glutammato. In più l’attività dei neuroni della memoria è aiutata da alcune vitamine come la B1, la B6 e la B12. Tra i cibi possono essere d’aiuto tuorlo d’uovo, germe di grano, noci, latte, (B1) pesci di mare cereali, banane, soia, prugne secche (B6) e carni, pesce e pollame (B12). Altrettanto importante, se dovete ricordare, a scuola o in una riunione, è cercare di non essere nervosi. Sotto stress si producono grandi quantità di cortisolo, un ormone che influenza negativamente il processo di memorizzazione. Secondo uno studio dell’Istituto di Endocrinologia della Rockfeller University di New York il cortisolo, una volta nel cervello, va a colpire una stazione fondamentale nel ricordo, l’ippocampo.
Cosa fare se la memoria cala
La scienza sta lavorando per trovare nuove armi per affrontare la situazione in caso di calo della memoria, anche attraverso un precoce riconoscimento del quadro. Si parla di terapie innovative e personalizzate, mediante strategie combinate tra le quali occorre includere un appropriato controllo degli stili di vita. e sono importanti anche le novità nell’ambito delle metodologie diagnostiche soprattutto grazie allo sviluppo di marcatori plasmatici che permettono non solo diagnosi più precoci e precise, ma soprattutto di classificare le diverse condizioni morbose e di individuare potenziali target terapeutici per trattamenti mirati. Secondo gli esperti sarà grazie a questi marcatori che presto potremo valutare se un qualsiasi trattamento farmacologico sarà efficace ma anche prevenire eventuali eventi avversi. Senza dimenticare, va detto, che in futuro avremo anche nuovi sistemi di misurazione come i sensori digitali per i trattamenti preventivi che potranno aiutare chi va incontro a questa patologia, grazie all’applicazione dell’Intelligenza Artificiale.