Che i folli abbiano il loro oro, i furfanti il loro potere, che la fortuna vada e venga come vuole; ma chi semina un campo, o coltiva un fiore, o pianta un albero, fa più di chiunque altro." Così a fine 800 scriveva John Greenleaf Whittier, poeta e giornalista statunitense, nello stesso periodo in cui Guido Baccelli, l'allora Ministro della Pubblica Istruzione, introdusse la "Giornata nazionale degli alberi" in Italia. Dopo più di cent'anni possiamo riprendere le parole del poeta statunitense e comprendere la lungimiranza del politico italiano: chi pianta un albero fa davvero più di chiunque altro. Gli alberi rappresentano una ricchezza incommensurabile per il Pianeta e per l'uomo, una ricchezza che non può essere misurata, né catalogata, né forse compresa fino in fondo. Possiamo però certamente attribuire loro un valore, o meglio, molteplici valori che esulano da quello meramente economico: gli alberi hanno infatti un'importante funzione ecologica e sociale. Sequestrano CO2, ci proteggono dai pericoli idrogeologici, migliorano la salute delle città, "producono" ossigeno, purificano l'acqua, favoriscono il benessere fisico e mentale delle persone, offrono nutrimento, principi attivi, materiale, riparo e habitat per molte specie (compreso l'uomo). Se Guido Baccelli già nel 1898 aveva riconosciuto agli alberi un'importanza tale da dedicare loro una giornata, anche oggi possiamo vedere che questi valori sono riconosciuti come fondamentali per la società e per il suo futuro. Nello stesso Testo Unico in materia di foreste e filiere forestali, si legge infatti come "La Repubblica italiana riconosce il patrimonio forestale nazionale come parte del capitale naturale nazionale e come bene di rilevante interesse pubblico da tutelare e valorizzare per la stabilità e il benessere delle generazioni presenti e future."
Riprendendo le parole gli alberi sono bene di rilevante interesse pubblico da tutelare e valorizzare. Sono infatti "creature" straordinarie, che vivono tempi e luoghi a noi umani non accessibili. Trovano strategie evolutive per adattarsi anche agli ambienti più inospitali: nei deserti, nelle acque salmastre, sui ripidi pendii rocciosi. Ma soprattutto possono vivere ben più di quanto immaginiamo. Basti pensare a Matusalemme, il Pino dai coni setolosi più vecchio al mondo: ha 4853 anni e vive nelle foreste della California. Così anche le grandi querce possono crescere per trecento anni, vivere per trecento anni e impiegare altri trecento anni per morire. Lasciano a bocca aperta anche le dimensioni che possono raggiungere. Sempre in California, nelle zone costiere, crescono tra gli alberi più alti al mondo, le Sequoie Sempervirens, che superano i 100 metri di altezza. Mentre in Africa gli alberi non solo sono alti, ma propriamente "grossi". L'Ombalantu baobab, in Namibia, può ospitare trentacinque persone e nei suoi ottant'anni di storia è stato utilizzato come cappella, casa, nascondiglio ed anche ufficio postale. Così Paul Smith nel suo libro "Alberi", ricorda come "Più alti, più grandi, più pesanti e più longevi di qualsiasi altro organismo sul Pianeta, sono stati testimoni di tutta la storia documentata dell'uomo, resistendo a secoli di tempeste e probabilmente acquisendo una saggezza che va al di là della nostra comprensione."
Data la loro "anzianità", potremmo imparare molto da loro, in primis la loro capacità di essere una "società", di connettersi e relazionarsi, di creare delle reti (propriamente di radici e di miceli) che agiscono come un cervello collettivo. Come scrive Suzanne Simard nel suo "Albero Madre": "Gli alberi mi hanno rivelato segreti sconvolgenti. Ho scoperto che formano una rete interdipendente, legata da un sistema di canali sotterranei in cui possono percepire, connettersi e relazionarsi co un'antica complessità e una saggezza che non può più essere negata." Attraverso una fittissima rete fungina, infatti, gli alberi comunicano tra loro, si trasmettono informazioni, condividono la loro conoscenza su ciò che risulta dannoso per la loro salute, su come adattarsi e sopravvivere. "Gli alberi anziani nutrono i giovani e procurano loro cibo e acqua, come facciamo noi con i nostri bambini. Un fatto, questo, più che sufficiente per indurci a fermarci, a fare un respiro profondo e a contemplare la natura sociale della foresta e la sua cruciale importanza per l'evoluzione."