di Roberto de Filippis (fonte Gazzetta dello Sport)
È il giocatore di football americano Aaron Rodgers l’ultima vittima illustre della rottura del tendine d’Achille. Il celebre quaterback, da poco passato ai New York Jets, ha subito tale infortunio nel corso della prima partita disputata con la nuova casacca. Trattandosi di un problema che richiede lunghi tempi di recupero, oltre ad aver chiuso in anticipo la stagione c’è il rischio che per Rodgers, che ha 39 anni, l’esordio in maglia Jets possa essere ricordato come la sua ultima, sfortunata gara. Vediamo quali sono le tappe fondamentali della riabilitazione dopo la rottura del tendine d’Achille.
ROTTURA DEL TENDINE D’ACHILLE: I VANTAGGI DI UNA RIABILITAZIONE PRECOCE— Se fino ad alcuni anni fa il trattamento fisioterapico cominciava a distanza di parecchio tempo dall’intervento chirurgico, alla luce di recenti ricerche scientifiche oggi si propende per un trattamento funzionale precoce, che di solito inizia entro la prima settimana dall’operazione. “Dopo l’intervento di ricostruzione del tendine d’Achille si segue un protocollo di mobilizzazione precoce che ha lo scopo non solo di ridurre gonfiore e dolore, ma anche di recuperare il range articolare e la forza della caviglia. Gli obiettivi sono il ripristino delle funzioni coordinative e il ritorno all’attività atletica in sicurezza” premette la dottoressa Francesca Tiezzi, fisioterapista specializzata in trattamento muscolo-scheletrico. Dall’inizio della riabilitazione fino alla terza settimana è fondamentale proteggere la caviglia con un tutore, tenere a riposo l’articolazione e applicarvi del ghiaccio, così come importante è il sollevamento dell’arto operato (protocollo PRICE). A livello fisioterapico si cominciano a eseguire mobilizzazioni passive in flessione sia plantare sia dorsale ed esercizi che prevedono solo una contrazione isometrica. In questo periodo è indicato l’uso delle stampelle.
L’INIZIO DELLA RIABILITAZIONE È SIMILE IN TUTTI GLI SPORT— È nel periodo che va dalla terza alla sesta settimana che si procede con movimenti attivi delle dita e della caviglia che prevedono contrazioni isotoniche, eccentriche e concentriche, aumentando a poco a poco la difficoltà e le resistenze. È necessario rinforzare anche gli altri distretti della gamba (ginocchio e anca) e svolgere esercizi neuromuscolari. Dalla sesta settimana ai tre mesi si procede con aumenti delle resistenze in flessione ed estensione della caviglia. Inoltre, si continua con gli altri movimenti articolari (eversione e inversione) e con gli esercizi in stazione eretta e di training neuromuscolare. “In seguito, si prosegue il percorso riabilitativo con esercizi funzionali e la ripresa di salti e della corsa. Questo è il periodo giusto per un graduale ritorno allo sport” spiega la dottoressa Tiezzi. In tale fase la riabilitazione sarà parzialmente differente in base all’attività fisica praticata: a seconda della disciplina si svolgeranno esercizi specifici per il rinforzo muscolare, la coordinazione e l’equilibrio. Prima della dodicesima settimana, invece, la riabilitazione è molto simile a prescindere dallo sport in cui ci si cimenta.
I DOLORI NON VANNO TRASCURATI— Uno dei più grandi errori che possono commettere sia gli sportivi professionisti sia quelli amatoriali è di forzare per accelerare i tempi di recupero. Ma da che cosa si può capire che si sta esagerando? “Durante il percorso riabilitativo è necessario stare attenti ad alcuni segnali: oltre al gonfiore, all’arrossamento e a una sensazione di calore nella zona dell’intervento bisognerebbe prestare attenzione alla comparsa di dolore durante lo svolgimento di esercizi di rinforzo e anche nei giorni successivi. In particolare, il dolore non dovrebbe superare i 2-3/10 NRS (la scala che valuta l’intensità del dolore, ndr)” risponde la dottoressa Tiezzi. A volte alcuni inconvenienti rallentano il processo di riabilitazione. I più comuni sono l’infezione della cicatrice o del sito dell’intervento e le aderenze a livello delle cicatrici (profonde o superficiali). Soprattutto quando si inizia precocemente la riabilitazione sono invece oggi eventualità molto rare sia la trombosi venosa profonda sia una nuova rottura del tendine d’Achille.