Francesco Nuti ci ha lasciato a 68 anni dopo quasi due decenni di sofferenze e solitudine. Era disabile dal 4 settembre 2006, quando si procurò in un incidente domestico un ematoma cranico: sofferente già di depressione, l’attore rimase in coma alcuni mesi, curato dalla madre e dal fratello Giovanni, musicista. Ogni tanto gli amici colleghi toscani di sempre, da Conti a Pieraccioni, da Panariello a Benvenuti, s’industriavano per fargli sentire la loro presenza, fu organizzata anche una diretta tv con l’effetto imbarazzante di mostrare in pubblico un uomo devastato e che aveva avuto anche una pubblica lite con il badante. Poi, nel 2016, di nuovo una caduta nella sua casa di Narnali, frazione di Prato, la corsa in ospedale, il trasferimento a Firenze.
L’avevano definito, centrando il bersaglio, «malincomico», Francesco Nuti. Era un commediante ma con una sua vena di tristezza autentica che proveniva in modo sotterraneo dall’ambiente proletario toscano, lui nato a Firenze il 17 maggio 1955. Sapeva far sorridere in modo originale ed era uno dei pochi commedianti in cui il copione riservava sempre anche una conquista femminile: prima De Sio e poi Muti sono state le partner più fedeli in un gioco che non coinvolgeva solo la fiction. Era diventato popolare nei bar col biliardo impersonando un campione della stecca in «Io, Chiara e lo Scuro» nell’83: sapeva fare l’«ottavina reale a nove sponde», mossa da re.
Francesco Nuti aveva una vis comica discreta e stralunata basata sull’osservazione deformata del reale, una faccia da bravo ragazzo di borgata (nato in famiglia operaia a Prato, tradizione familiare comunista alla Benigni) e, come tutta la sua generazione, aveva scalato il successo partendo dal cabaret, nelle cantine e poi in tv, approdando al cinema con lo stesso stile. Studente e attore dilettante, era stato visto e preso dai Giancattivi, trio tutto toscano piuttosto velenoso: Nuti, Benvenuti e Athina Cenci, amici che poi presero strade separate. Insieme erano una forza e negli anni 70 imposero una satira ruvida e sferzante anche in tv con «No stop» e «La sberla» dove debuttarono Troisi e Verdone.
Nell’81 il Trio, con regìa di Benvenuti, firma l’opera prima, «Ad Ovest di Paperino» che racconta una giornata a Firenze in amaro stil novo, il repertorio del gruppo. L’anno dopo Nuti è scritturato da Ponzi, che diventerà il suo regista di fiducia, per un altro ritratto lunare e malinconico di un giovane a Prato, nella società operaia: «Madonna che silenzio c’è stasera». Funziona il mix dell’umorismo dell’attore giovane introverso e un po’ surreale con l’intellettualismo di un regista ex critico che otterrà il grande successo nel film sul biliardo con cui Nuti vince il Nastro d’argento e si impone al pubblico. E dove c’è una vena di realismo rosa autentico nella descrizione delle tipologie popolari, con Marcello Lotti, vero campione di biliardo.
Nell’85 il seguito di questa storia di spacconi, in cui Giuliana De Sio è la partner, “Casablanca Casablanca”, fa già acqua nella struttura narrativa e nella scrittura, segnando il debutto di Nuti regista che non sorregge il discorso originale di Nuti attore. Sarà l’inizio di un sogno di gloria (va perfino a cantare a Sanremo) ma poi anche il motivo del tracollo quando, dopo una stagione di successi popolari, di gossip sui giornali, di ospitate in tv, dirige lo sfortunato kolossal su Pinocchio. Intanto era passato un decennio, gli anni 80, in cui egli diventò uno dei protagonisti, anche negli incassi miliardari, della nuova commedia all’italiana sganciata dalla satira sociale e incanalata nel sentimentalismo, tenendo presente la sua aria da seduttore, playboy di provincia con acclusa tristezza generazionale. Nuti era amato dai giovani, scherza anche pesante, allontana la primitiva malinconia con storie assurde, passa dai perdenti simpatici ai vincitori un po’ sbruffoni. E va sui rotocalchi per le conquiste, fino al matrimonio e alla paternità degli ultimi anni quando già il dramma dell’alcool l’aveva segnato e costretto a interrompere la fortunata carriera.
Lascia Ponzi dopo “Son contento”, nel 1983, storia tristemente profetica di un comico che non riesce più a far ridere, porta la sua privacy sul palcoscenico, ma paga con gli interessi della solitudine. Si mette in proprio, è autore sceneggiatore e attore. E sforna best seller anche natalizi tra l’85 e il 95, quasi un titolo l’anno, perdendo poco alla volta la sua genuina vena originaria pseudo poetica e di buon cuore, volendosi troppo bene. In “Tutta colpa del paradiso” (con la Muti, la Betti e il caratterista toscano Novelli che sarà spesso suo complice) fa, come in un melò, il papà ex galeotto che rinuncia al figlioletto per non turbare la serenità della nuova famiglia, lassù in montagna; in “Stregati”, ’86, ancora con la Muti, è un taxista che rapisce una sposa il giorno delle nozze, conquistandola poi con una filosofia da strapazzo e un narcisismo sempre più pericoloso. “Caruso Paskovski” (stavolta la bellona è Clarissa Burt) lo rende psicanalista ma abbandonato dalla moglie per un paziente ritenuto gay: crescono le ambizioni ma insieme anche le volgarità. In “Willy Signori vengo da lontano” con Isabella Ferrari, è un cronista di nera che provoca la morte di un uomo ma poi si prende cura della sua ragazza incinta. In “Donne con le gonne” un dentista maschilista processato per violenze alla moglie Carole Bouquet in una storia violentemente misogina (e socialmente profetica).
Il sogno si spezza quando Nuti mette in cantiere l’ambizioso “Occhiopinocchio” con Cecchi Gori che, dopo molte traversie, liti e tagli, esce senza successo nel Natale del 94 segnando l’inizio della fine. Spende, girando in Usa quasi 18 miliardi per una storia lacrimosa e assurda, poco o niente collodiana, in cui Nuti è il figlio orfano che dall’ospizio scappa in una reggia dorata americana. Dopo 4 anni si tenta il recupero, ma già l’attore è schiavo del bere, nasconde la fiaschetta sul set: Sabrina Ferilli, con generosità, lo affianca nel “Signor quindicipalle” per riportare in vita il personaggio del campione di biliardo in una commedia ad equivoci con la prostituta buona. Il resto è quasi silenzio, ma la sua volontà di ricominciare con filmetti sempre più modesti (“Io amo Andrea”, “Caruso zero in condotta”, “Concorso di colpa”) non acchiappa più un pubblico che si è già diretto verso altri eroi, altre risate, altre seduzioni. Il colpo da quindici palle non gli riesce più, ma fa tristezza pensare alle tante occasioni perse di un genuino talento che ha consumato la sua fortuna in anni di reclusione amara, dolorosa, faticosa..