Provocata da un’infezione, l’osteomielite consiste nell’infiammazione di un osso e della relativa cavità midollare. A causarla sono spesso dei batteri, in particolare gli Streptococchi e gli Stafilococchi, mentre sono estremamente rari i casi in cui la malattia sia originata da germi di altro genere.
OSTEOMIELITE: PUÒ ESSERE ACUTA O CRONICA— Soprattutto negli adulti l’osteomielite è spesso la conseguenza di un’infezione vicina e tende a comparire dopo un trauma molto violento o dopo l’impianto di una protesi. A questa forma della malattia è soggetto specialmente chi ha avuto fratture esposte, situazione in cui batteri e germi nocivi possono contaminare per contatto diretto. Più rara è invece la forma di osteomielite che dipende da un problema di circolazione nelle aree periferiche dell’organismo; in questi casi, la causa più comune è il piede diabetico. “È tipica dell’infanzia e dell’adolescenza la forma ematogena della malattia. A determinarne la comparsa sono batteri responsabili di altre patologie, tra cui cistite, faringite e otite, che tramite il circolo sanguigno raggiungono certe ossa. Le più a rischio sono quelle irrorate da molti vasi sanguigni, come il femore, la tibia, il perone, l’omero, il radio e l’ulna” spiega il dottor Antonio Pellegrini, responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia Ricostruttiva e delle Infezioni Osteoarticolari dell’Irccs Ospedale Galeazzi-Sant’Ambrogio di Milano. Le osteomieliti possono essere classificate anche in base alla durata: se durano meno di un mese si considerano acute, se affliggono per più tempo croniche.
OSTEOMIELITE: GLI ESAMI PER LA DIAGNOSI— L’osteomielite provoca un dolore che si manifesta nella zona dell’infezione. Tale dolore può essere anche così intenso da arrivare a compromettere la funzionalità della parte del corpo interessata. Se è il dolore è il sintomo caratteristico della malattia, a esso se ne possono associare altri, come tumefazioni e febbre. È importante non trascurare l’osteomielite, perché altrimenti c’è il rischio che l’infezione si espanda, moltiplicando i fastidi e, nei casi peggiori, arrivando a richiedere un intervento chirurgico per asportare l’intero segmento osseo. Se il medico sospetta la presenza di tale malattia dovrebbe prescrivere innanzitutto degli esami del sangue per osservare l’emocromo con formula (globuli bianchi e formula leucocitaria), la proteina C reattiva, che se alta indica un’infezione in corso, e la VES (velocità di eritrosedimentazione, altra spia d’infiammazione). Se tali parametri sono superiori alla norma significa che si è in presenza di flogosi, cioè di infiammazione dell’organismo. Successivamente è necessaria un’indagine radiologica, quale la risonanza magnetica oppure, in alternativa, una radiografia o una tac, esami utili anche a localizzare l’infezione. “Infine, per capire quale germe abbia scatenato l’infezione è fondamentale un esame colturale, che consiste nel prelievo di una piccola parte del tessuto infetto” afferma il dottor Pellegrini.
LE CURE PER L’OSTEOMIELITE— Quando è diagnosticata un’osteomielite acuta, il primo trattamento a cui si ricorre è a base di un antibiotico specifico per il batterio che ha provocato l’infezione. È piuttosto raro che si renda necessario un intervento chirurgico per l’evacuazione di un eventuale ascesso. In questi casi, la cura con l’antibiotico, che può essere iniettato in vena, per via intramuscolare o preso oralmente, va proseguita anche dopo l’operazione. Nelle forme croniche di questa malattia si formano spesso dei “sequestri”, ossia dei frammenti ossei morti. Siccome queste parti dell’osso non sono irrorate dal sangue, non sono raggiungibili nemmeno dagli antibiotici; quindi, in tali aree i batteri responsabili dell’infezione possono proliferare liberamente. In presenza di sequestri, l’intervento chirurgico è indispensabile: si ricorre, appunto, a una sequestrectomia, che consiste nella rimozione dei frammenti ossei morti e nella pulizia dell’osso. “La chirurgia è fondamentale anche se la malattia compromette l’osso in tutto lo spessore. In tali circostanze, sono necessarie tecniche molto complesse. A volte, con l’aiuto di fissatori esterni circolari si riesce a allungare l’osso accorciato per riportarlo alla lunghezza originaria. Altre volte, è ricostruito usando innesti autologhi (perone vascolarizzato). Infine, c’è la tecnica di Masquelet, che si articola in due stadi” conclude il dottor Pellegrini.