di Andrea Schianchi (fonte Gazzetta dello Sport)
Il nuovo stadio di Cagliari sarà intitolato a Gigi Riva. Il consiglio comunale ha detto sì: 29 voti favorevoli e nessun astenuto. "Riva mi ha detto di essere contento di poter vivere e assaporare l’intitolazione - riferisce il sindaco Paolo Truzzu -, proprio perché di solito la stessa intitolazione è dedicata a chi non c’è più". Già, questa è l’anomalia, perché in Italia si è sempre deciso di intestare gli impianti sportivi a grandi campioni ormai scomparsi: fa eccezione l’ex campo centrale di tennis del Foro Italico “Nicola Pietrangeli”.
UN FENOMENO INFINITO—In questo modo Riva prosegue la sua parabola da autentico fenomeno: lo era quando giocava, e lo è anche adesso che, da fuoriclasse in pensione, si trasforma addirittura in uno stadio. La ragione di questa decisione del comune di Cagliari è semplice: nessuno più di Riva ha saputo rappresentare la città, probabilmente la Sardegna intera, divenendone un simbolo riconosciuto anche all’estero. Curioso che tutto ciò sia accaduto a un uomo nato a Leggiuno, in provincia di Varese. A diciannove anni, nel 1963, ha fatto le valigie ed è partito per l’isola e se n’è innamorato di un amore puro, sincero, talmente profondo da non volerla mai più abbandonare. Ci hanno provato tutti a staccarlo da quello che lui ha sempre considerato il porto sicuro: l’Inter di Moratti e di Fraizzoli, la Juve di Agnelli, il Milan. A ogni sessione di calciomercato il nome sul taccuino dei presidenti più potenti d’Italia era sempre quello: Gigi Riva. E lui, puntualmente, d’accordo con i dirigenti del Cagliari che pure, cedendolo, avrebbe fatto una fortuna, rispose sempre di no. È in questo attaccamento viscerale, quasi materno, neanche l’isola rappresentasse il cordone ombelicale che lo tiene aggrappato alla vita, che si deve leggere la parabola, tanto strana quanto affascinante, del personaggio. Il Cagliari non era certo uno squadrone, ma lui lo fece diventare tale, e grazie a lui arrivò addirittura lo scudetto nel 1970. Chi l’avrebbe potuto immaginare, un evento storico di simile portata? Sarebbe come se, al giorno d’oggi, il campionato lo conquistasse il Sassuolo.
ROMBO DI TUONO — Riva era "Rombo di Tuono", come lo battezzò Gianni Brera. Era un’ala sinistra che, quando esplodeva il mancino, scatenava i fulmini in cielo: potenza allo stato puro, massima precisione, un coraggio di leone in acrobazia. Senza alcun dubbio il miglior attaccante italiano nel periodo in cui ha giocato, cioè nella seconda parte degli anni Sessanta e nella prima metà degli anni Settanta. Il suo tiro era una sentenza: un diagonale preciso che s’insaccava inesorabilmente nell’angolino opposto, con il portiere proteso in un inutile tuffo. Riva era essenziale, chirurgico. E per tutti quelli che amavano il calcio era, soprattutto, il simbolo di una diversità: aveva rifiutato le grandi piazze, i soldi facili, aveva dimostrato di essere il più forte pur rimanendo su un’isola, ultimo avamposto dell’utopia che lui seppe trasformare in realtà. In azzurro a lui è legato il titolo europeo del 1968 e il secondo posto a Messico ‘70. Con il Cagliari realizzò 164 gol in 315 partite, con l’Italia tenne una media impressionante: 35 reti in 42 gare e un Europeo vinto nel 1968. Un campione così non merita uno stadio, ma una cattedrale.