di Indira Fassioni
Il 24 febbraio è il World Bartender Day: chiamateli barman, mixologist o semplicemente baristi, il concetto non cambia. Sono le figure portanti della Bar Industry, fondamentali per il settore dell’Hospitality, protagonisti delle serate più memorabili della nostra vita.
Se per molto tempo il mondo dei cocktail è stato relegato a contesti festaioli, oggi sempre di più se ne apprezza la ricerca e la complessità tecnica, e sono molti a sostenere che i professionisti del bar sono paragonabili agli chef con il loro lavoro di ricerca dei sapori. Ma se oggi molti guardano questa carriera con desiderio, come un’opportunità su cui investire, spesso non ci si chiede cosa significa intraprenderla sul serio, quali siano gli aspetti positivi e quelli negativi della professione, e soprattutto quali prospettive essa possa avere sul lungo termine.
Abbiamo approfittato di questo 24 febbraio, da alcuni anni insignito del titolo di “World Bartender Day” per intervistare Chiara Beretta, tra le figure apicali della Bar Industry italiana, che oggi ricopre un ruolo manageriale in Fine Spirits ma che per anni si è cimentata dietro al bancone. Queste le sue risposte, ma il nostro consiglio è quello di sedervi stasera al bancone del vostro bar preferito e di farle al vostro bartender, sarà un modo per conoscerlo meglio e per perpetuare quella che è la vera magia del bar: far parlare due sconosciuti fino a renderli amici o perché no, far scoppiare nuovi amori.
Come ti sei avvicinata al mondo del bar? Quanto tempo hai lavorato dietro al bancone e dove?
Ho cominciato a lavorare nei locali al primo anno di università, per caso e per gioco, quando come molti ragazzi cercavo un lavoretto per pagarmi le vacanze. Era il 2006, il mondo del bar era ancora nella fase sweet&sour e lime pestato aggressivamente. Lavoravo in una birreria di provincia e tornavo a casa con i vestiti che puzzavano di fritto. Mi sembrava comunque il lavoro più bello del mondo. Dopo un anno ho cominciato a sentire il richiamo del bancone. Le rare volte che mi veniva ordinato un cocktail, dovevo cercare la ricetta su un vecchio libro. Inutile dire che non ci capivo niente e veniva tutto da schifo. Si poteva fare decisamente meglio: ho cominciato a studiare frequentando i pochi corsi attivi in quel periodo, e dopo essermi laureata ho aperto un cocktail bar nella provincia di Milano. In quegli anni il bar stava vivendo una vera e propria rivoluzione, e ho avuto la fortuna di farne parte. Il mio ultimo bancone è stato quello del Rita & Cocktails di Milano, dove ho lavorato per quasi quattro anni fino al 2016, completando un decennio di bar che mi rimarrà sempre nel cuore.
Quali sono gli aspetti positivi di questo lavoro? Cosa ti è rimasto in tal senso di questa esperienza lavorativa?
Inizialmente il lavoro del bar è stato per me estremamente terapeutico. Sono stata un'adolescente insicura, come spesso accade, e il bar mi ha insegnato a relazionarmi con le persone e a sentirmi bene con me stessa. Penso di essermi sentita "carina" per la prima volta proprio dietro al bancone del bar. Raccontato ad anni di distanza e superato (fortunatamente) il liceo può sembrare un'affermazione superficiale e ridicola. Ma per una ragazzina di 19 anni era stata una specie di rivelazione. Dietro al bancone con un improbabile grembiule da birreria e uno strofinaccio appeso al fianco mi sentivo perfettamente al mio posto, e ho promesso a me stessa che avrei fatto il possibile perché fosse sempre così. Le lezioni di vita che può dare il lavoro del bar sono infinite: al bar si lavora in squadra, si mangia tutti insieme e ci si cambia spesso in un unico spogliatoio. Non ci sono differenze di genere, razza, estrazione sociale: il lavoro si porta avanti uniti. Tutti i clienti sono egualmente importanti, e il nostro compito è regalare una parentesi di serenità nelle giornate dei tanti sconosciuti appoggiati al bancone. Bello no?
Quali sono invece i lati negativi della professione di cui spesso non si parla?
Sicuramente il lavoro del bar è molto impegnativo, sia per i ritmi che per gli orari. Si lavora la sera e il weekend, si frequentano quasi esclusivamente altre persone dello stesso settore. Si mangia ad orari sbagliati, in modo irregolare. Negli ultimi anni si è parlato spesso di mental health dopo le dichiarazioni di alcuni professionisti che hanno generato una catena di “me too”. Alcolismo e abuso di droghe sono sicuramente una realtà molto legata al mondo della notte, e per un ragazzo giovane non è sempre facile tenersi alla larga di quello che è così drammaticamente a disposizione. Ci vuole una grande forza di volontà, e questo è sicuramente il dark side dell'hospitality.
Oggi hai cambiato lavoro restando però nella Bar Industry. Di cosa ti occupi nello specifico?
Dal 2016 lavoro per Fine Spirits, un'azienda che si occupa di importazione e distribuzione di distillati di alta gamma. Sono entrata proprio in fase di start up e negli anni ho avuto l'opportunità di lavorare su diversi progetti che mi hanno dato una visione a 360 gradi di quello che potrei considerare l'altro lato del bancone. Mi occupo di formazione ma anche di vendita, seguo il marketing e i social network. Partecipo alla selezione dei nuovi prodotti e mi interfaccio con i fornitori. Ho sempre una bottiglia in borsa e accumulo i punti del treno perché non sto mai ferma. Sarà che i bartender in pensione soffrono i file excel, e ogni scusa è buona per alzarmi dal computer.
Secondo te qual è l’evoluzione lavorativa per un bartender? Ci sono strade tracciate d’evoluzione professionale?
Non dobbiamo dimenticarci che questo settore, per come lo intendiamo oggi, è piuttosto recente. Fino ad una decina di anni fa un bartender poteva aprire un proprio locale, o cambiare mestiere. Oggi ci sono molte altre strade legate alle aziende di distribuzione che cercano sempre più spesso professionisti per colmare il gap tra il bar e l'azienda. Qualcuno da incastrare tra lo shaker e il file Excel insomma. E il mondo dei social, come per tanti altri settori, ha sicuramente amplificato l'influenza di queste figure. Ma anche il mondo dell'hospitality ha avuto una grande evoluzione, aprendosi a nuovi ruoli gestionali che prima non erano così comuni. Pensiamo specialmente all'internazionalizzazione di molte strutture, prime tra tutte le catene alberghiere ma anche molti bar. Non è raro che un giovane bartender si trovi in pochi anni a gestire una realtà dall'altro lato del mondo. Il passaggio dal grembiule alla giacca a volte avviene così velocemente che quasi ci dimentichiamo della prima versione di noi stessi.
Infine qual è un consiglio che daresti ad un giovane bartender che volesse avvicinarsi a questo tipo di lavoro?
Il mio unico consiglio è avvicinatevi. Studiate, impegnatevi, leggete, imparate. Ma prima di tutto avvicinatevi senza timore di essere giudicati, di non avere un futuro, di non guadagnare abbastanza o lavorare troppe ore. Magari sarà così all'inizio, ma questo settore è così veloce e imprevedibile che le possibilità sono infinite, per chiunque abbia il desiderio e la passione giusta per coglierle.