lunedì 5 settembre 2022

FRANCESCO BRUNO

LA CANZONE POPOLARE IN JAZZ

Quando è uscito in formato digitale, un paio di mesi fa, per AlfaMusic Studio (in cd sarà nei negozi il prossimo 16 settembre), ho salutato Onirotree di Francesco Bruno con il prezioso intervento canoro di Silvia Lorenzo, con un moto di grande ammirazione. Francesco, classe 1954, è uno dei nostri grandi chitarristi jazz, un musicista che ha lasciato tracce fondamentali nella nostra musica, una per tutte Voglia ‘e turnà cantata da Teresa de Sio, con cui ebbe una bella e ricca collaborazione. Una carriera intensa che lo ha visto collaborare con molti artisti tra cui Brian Eno e Richie Havens. Con il mitico autore di Freedom, ha pubblicato nel 2002 un disco, El Lugar, che vi consiglio di ascoltare. Un lavoro pignolo, meticoloso, come d’altronde è avvezzo l’artista romano. Onirotree non fa certo eccezione. Anche perché quello che mi ha incuriosito è il lavoro di riscrittura e arrangiamento che Francesco ha fatto su nove brani, il decimo, Violeta, l’ha ripreso dal suo repertorio strumentale, lo aveva originariamente dedicato alla figura della cantante cilena Violeta Parra, sul quale il poeta Fabio Simonelli ha scritto un toccante testo. Nove canzoni popolari, alcune scritte secoli fa, della tradizione greca, sefardita, luso-brasiliana, italiana, occitana, dalle quali il chitarrista è partito, selezionando cellule sonore e scrivendoci sopra delle suite.

Un lavoro impegnativo, delicato, jazz nella vera accezione del termine: una trasmissione popolare recuperata e rivisitata. La ciliegina sulla torta è la voce incantevole e lirica di Silvia Lorenzo, attrice, performer e cantante di ottima levatura. La voce di Silvia si fonde nella chitarra di Francesco, nessuna prevale sull’altra, un equilibrio che genera un ascolto immersivo ed emozionale. In fin dei conti è questo il valore della musica, provocare reazioni, produrre un’iniezione salutare si serotonina. Ad accompagnarli, il contrabbassista Andrea Colella e il batterista Marco Rovinelli. Il bello di queste contaminazioni mediterranee è che da un brano, come ad esempio la canzone sarda Anninnora, Francesco Bruno ha creato Heia!, estraendo alcune cellule melodiche della primitiva melodia, nelle quali ha mantenuto la pulsazione ritmica originaria, creando un groove contemporaneo con improvvisazione jazz inclusa. Altro esempio: Who Stole My Heart, Se essa rua il titolo originario, canzone di una struggente saudade (la interpretò Maria Bethânia nel 1973, tenendo la linea melodica, un pianoforte arpeggiato in un medley che includeva altri due brani, Rasguei a Minha Fantasia e Nada Além, da Drama – Luz Da Noite album del 1973). E ancora, Like The Waves, tratta da Cade L’uliva, canto tradizionale toscano che, nella rilettura di Francesco diventa un ritmo di stampo Latino Americano perché, come spiega lo stesso musicista, «avevo percepito una latinità in forma embrionale nella scrittura originaria, un elemento che ha ispirato tutto lo sviluppo della composizione».

Francesco, siete appena tornati dalla Polonia dove avete avuto un bel riscontro…

«È sempre una soddisfazione suonare da queste parti. Nei teatri c’è un silenzio religioso, il pubblico ascolta con interesse, non è distratto da altro. Si percepisce chiaramente che la musica ha una grande importanza, probabilmente è un retaggio culturale: anche nei periodi più bui, qui l’arte è stata sempre praticata, è passato il suo valore, la sua importanza… In Polonia ci siamo davvero divertiti a suonare, anche perché tra noi quattro s’è creato un clima di amicizia, ci piace viaggiare e suonare insieme sul palco!».

Ho apprezzato molto il tuo lavoro e anche la voce di Silvia Lorenzo, armonia perfetta…

«Grazie! Con Silvia avevo lavorato in spettacoli teatrali, l’avevo conosciuta solo dal lato teatrale e l’apprezzavo molto. Faceva reading e danzava in un progetto multiculturale che portiamo ancora in giro. Poi, mi è capitato di ascoltare un paio di brani cantanti da lei e sono rimasto colpito. Ho pensato che sarebbe stato interessante lavorare a questo progetto con lei».

Non è una voce jazz, per questo mi affascina…

«Non è la classica cantante jazz, non ha nessuna velleità di apparire come tale. Silvia è molto lirica, ma sa essere anche swingante, senza però cadere nella forma retorica ed emulativa delle grandi voci del passato che spesso mi capita di ascoltare. Per questo ha funzionato nel disco».

Onirotree è in linea con il tuo modo di fare musica…

«Cercavo di trovare una maniera diversa di approcciarmi alla musica tradizionale, un qualcosa che potesse proiettare queste canzoni in altre dimensione, jazz innanzitutto. Così ho fatto ascoltare a Silvia due brani che avevo riscritto e lei s’è commossa».

Quindi siete partiti con la realizzazione del disco?

«Silvia ha fatto una ricerca lunga e minuziosa. Le era già capitato di cantare brani tradizionali, ma solamente a cappella. Dei tanti che mi ha proposto, ho scelto quelli che più mi stimolavano. Sono partito da cellule sonore per sviluppare un tema che avesse attinenza con il brano originario ma che permettesse anche una rielaborazione dal mio punto di vista. Sono canzoni che, negli anni, sono state riviste da molti in una sorta di staffetta musicale che ho raccolto e che lascio a disposizione di futuri riarrangiamenti. Le cose belle non conoscono il tempo. Mi reputo un “ricercatore”, uno curioso, per me il jazz è questo».

In tutti i brani, a partire dal primo, Wedding Song, ovvero Cinquecento Catenelle d’Oro, canto nuziale toscano del XVI secolo, hai costruito suite e jazz ballad…

«È il bello del jazz ed è un volo di fantasia: finora Cinquecento Catenelle d’Oro è stata riproposta sempre in forma modale. Ho voluto andare oltre».

Ti sei ascoltato tutte le versioni precedenti?

«Prima di comporre nessuna, non volevo sentirmi influenzato. Il post-ascolto c’è stato e in alcune parti mi ritrovavo. Alcuni di questi brani hanno avuto una trasmissione orale, come Fa ninni (In a Starry Night), ninnananna tradizionale piemontese che Silvia aveva registrato anni fa, cantata da un’anziana signora».

Pensi che la tua musica abbia una funzione sociale?

«Certo! Non vivo in un altro mondo, tutto quello che scrivo, anche se di fantasia, è legato al presente; mi è sempre piaciuto dare un riferimento nelle mie composizioni a quello che vivo ogni giorno».

Non è un periodo facile, penso non solo ai recenti eventi ma anche a una lunga carenza culturale, soprattutto nella musica…

«Ciò che posso fare per cambiare è emozionare con l’arte, far capire quanto armonia e bellezza possano essere una chiave di volta per cambiare finalmente questo mondo».

Francesco, quali sono i tuoi ascolti?

«Sono sempre stato uno molto curioso. Amo la chitarra, ascolto i maestri di questo strumento ma anche le nuove generazioni che hanno una preparazione incredibile. Mi sento un eterno studente! Spesso mi chiedono di insegnare, ma non lo faccio, perché sento che devo continuare ad applicarmi, non si finisce mai».

Oltre al jazz?

«Mi piacciono le canzoni d’autore americane, James Taylor, Stevie Wonder, ma anche i Van Halen, Carlos Santana, Jimi Hendrix, i Taste, i Deep Purple…».

 

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