Non riuscire a chiudere occhio pensando al ragno nascosto sul muro, limitare i propri viaggi o la propria carriera perché parlare in pubblico è un incubo, dover inventare scuse per non vedere i parenti e il loro nuovo cane, non attraversare una piazza per paura dei piccioni che la popolano. Alcune fobie potrebbero persino far sorridere qualcuno, ma - per gli oltre 10 milioni di italiani che ne soffrono - rappresentano un’enorme limitazione della libertà personale. Ne parliamo con il Professor Giampaolo Perna, psichiatra, docente di Humanitas University e direttore scientifico di Humanitas Psico Medical Care.
Fobia o paura: qual è la differenza?
"La paura è la più importante emozione difensiva dell’essere umano e di ogni essere vivente. Un campanello d’allarme che ci permette di identificare il pericolo che l’ha fatto scattare, aiutandoci a scegliere il comportamento più adatto a difendere la nostra vita e quella dei nostri cari, se minacciate da un pericolo. Ogni paura attiva anche l’ansia, che ha una funzione preventiva: innesca in noi comportamenti che allontanano o evitano situazioni potenzialmente rischiose. Proprio come il dolore o la febbre, anche la paura ci avverte di qualcosa che mette in pericolo la nostra integrità, la nostra sopravvivenza: non provare mai paura equivarrebbe ad essere indifesi. Quando però la reazione di paura è male indirizzata o sproporzionata rispetto all’entità oggettiva del pericolo, diventa a noi nemica e patologica: in questi casi si parla di una vera e propria fobia, che limita la nostra libertà di scelta e la nostra autonomia senza che vi sia un motivo valido. Un esempio paradossale dei tempi pandemici è la rupofobia, paura esagerata della contaminazione e dello sporco. Molti comportamenti che sarebbero stati considerati chiari segnali di una condizione psicopatologica fobica sono oggi assolutamente normali. Pensare a pulire le mani ripetutamente, disinfettare la spesa: cambia il contesto e cambia il significato dei comportamenti".
Come nasce una fobia?
"Esistono oggetti e situazioni che sono stati un pericolo vero per i nostri antenati: il buio, l’altezza o le ferite, ma anche ragni, serpenti e predatori. Con l’evoluzione, si sono impresse nella nostra biologia e genetica, pronte ad attivarsi al primo segnale. Il nostro cervello è - in un certo senso - preparato per queste paure, che possono attivare una vera e propria fobia: spesso accade quando vengono associate ad esperienze negative con queste condizioni. In altri casi, avere ripetute esperienze negative può attivare una paura esagerata, una fobia che ci porta ad evitare o affrontare con molto disagio l’oggetto stesso della fobia. Il meccanismo chiave è sempre il condizionamento: creare un collegamento tra una situazione, un oggetto, e un’esperienza negativa. Questo legame, che il nostro cervello apprende, ci porta a provare sensazioni negative ogni volta che incontriamo la situazione/oggetto che l’ha scatenata, oppure quando l’ambiente esterno ci segnala la possibile presenza dell’oggetto della fobia".
Come capire se ho una fobia?
"Capire se si ha una fobia è abbastanza semplice. Dobbiamo chiederci se la paura che condiziona il nostro comportamento sia esagerata rispetto alla situazione e all’oggetto che temiamo. Se la paura è esagerata e influenza la nostra vita in maniera importante, siamo di fronte ad un disturbo fobico vero e proprio. Importante anche cercare di comprendere se alla base della propria paura esagerata ci sia un altro problema, come le ossessioni o gli attacchi di panico. Se non riusciamo a valutare con certezza è bene chiedere il parere a un professionista della salute mentale".
Fobia, come viene trattata?
"Una fobia può essere l’espressione non solo di disturbo fobico semplice, ma anche di disturbi più complessi: per questo, è importante eseguire una corretta diagnosi, così da individuare la terapia migliore. Nel caso di un disturbo fobico, la terapia cognitivo-comportamentale è una tecnica efficace che può aiutare concretamente a superare le fobie. Consta di tre passi fondamentali: Esposizione controllata e graduale. Affrontare la situazione temuta dal vivo e in maniera graduale, senza l’intervento di persone “esterne” che in genere sono chiamate in soccorso di fronte alla situazione che origina la fobia. Aspettare che la sensazione di paura raggiunga il culmine e si affievolisca, prima di allontanarsi dalla situazione o circostanza temuta. Ripetere più volte il primo e secondo passo, per consolidare il risultato ottenuto. Quando invece la fobia rappresenta l’espressione di disturbi differenti, è fondamentale trattare questi ultimi. Una rupofobia, paura della contaminazione e dello sporco, potrebbe essere espressione di un disturbo ossessivo compulsivo, che andrà trattato con una psicoterapia cognitivo-comportamentale integrata a una farmacoterapia. Nel caso l’agorafobia o la claustrofobia nascano da un disturbo di panico, bisognerebbe associare una farmacoterapia specifica con una psicoterapia cognitivo-comportamentale. Nel caso in cui la fobia degli altri sia guidata da ansia sociale, dopo averne individuato le radici, andrà scelto il progetto terapeutico più corretto. In generale, sia la terapia farmacologica che quella psicoterapeutica cognitivo-comportamentale dovranno essere progettate in maniera personalizzata per il paziente. Un farmaco - anche della stessa categoria - non vale l’altro e la psicoterapia ha strumenti specifici la cui efficacia dipende da caso a caso. Il fai da te, in questi casi, è assolutamente da evitare".