Sono passati due anni e, ancora, il mondo dello sport non si è abituato alla sua assenza. Il 26 gennaio cade la ricorrenza più triste per gli appassionati di basket, il giorno in cui ogni amante della palla a spicchi si è dovuto confrontare con la terribile, inaspettata, notizia: Kobe Bryant morto in un incidente aereo. Troppa nebbia quel giorno nella sua Los Angeles, fatale l’errore del pilota dell’elicottero privato, in condizioni di scarsa visibilità. Lo schianto sulle colline californiane, l’inevitabile destino, condiviso con la piccola figlia Gianna e il tam tam delle informazioni che fanno il giro del mondo. Qualcosa, di tutto quello che Kobe ha dato al basket, è rimasto e rimarrà sempre. Tredicesima scelta assoluta al Draft 1996, a cui si era presentato nemmeno diciottenne, era pronto per indossare la casacca degli Charlotte Hornets. Subito dopo, però, fu scambiato per il centro Vlade Divac. La storia avrebbe poi condannato questa trade come una delle peggiori mai viste. Ma a Kobe Bryant il gialloviola dei Lakers scorreva nel sangue: “Vincerò un titolo NBA coi Los Angeles Lakers” ripeteva da bambino, mentre girava per l’Italia a seguito del padre, giocatore di pallacanestro. Il piccolo Kobe si sbagliava: di anelli, con i Lakers, ne avrebbe vinti cinque.
Una carriera straordinaria, segnata soprattutto da una mentalità da vincente. La sua etica del lavoro, i suoi allenamenti e soprattutto la sua grandissima intelligenza sportiva gli hanno permesso di migliorare, anno dopo anno, un talento già incredibile. In un podcast del 2017 ha rivelato: “Quando ho affrontato Michael Jordan per la prima volta, a 18 anni, non ero intimorito. Sapevo che avrei potuto batterlo nell’uno contro uno”. Una blasfemia per un rookie dell’Nba, che soltanto gli anni avrebbero trasformato in realtà. Per ammissione dello stesso MJ: “Penso che avrei vinto contro chiunque nella storia del basket nell’uno contro uno. Tutti, tranne Kobe. Lui avrebbe copiato le mie mosse”. Una battuta in pieno stile Air Jordan da cui traspare il grandissimo rispetto tra i due, evidente fin dal momento in cui, in una delle loro prime sfide, la superstar dei Bulls consigliò al giovane dei Lakers come muoversi in post basso per evitare i difensori avversari. Proprio questa era la forza di Kobe Bryant: imparare da ogni situazione e da ogni avversario, fino a diventare letale. Fino a diventare, anno dopo anno, il Black Mamba velenoso per ogni squadra che affrontava. Cinque i titoli Nba nella sua bacheca: i primi tre insieme all’amico (e poi rivale) Shaquille O’Neal dal 2000 al 2002, gli altri nel 2009 e 2010 insieme a Pau Gasol. Due delle coppie più iconiche della storia del basket, nei quintetti marchiati a fuoco nella storia dei Los Angeles Lakers. Oltre ai successi con il team, Kobe ha trionfato due volte alle Olimpiadi con la divisa degli Stati Uniti, a Pechino 2008 e Londra 2012.
Kobe Bryant non è stato solo un vincente in campo, ma il simbolo per un’intera generazione. La sua Mamba Mentality, la sua volontà di spingersi sempre al limite e di imparare ogni giorno, guardando sempre avanti, ha ispirato moltissimi giovani nell’intraprendere il percorso della pallacanestro e nel chiedere il massimo a sé stessi. Come nella magica sera del 22 gennaio 2006, quando realizzò una prestazione clamorosa: 81 punti personali contro i Toronto Raptors, secondo best score nella storia Nba. Più forte dei suoi stessi numeri, della sua fama e della sua storia, Kobe è rimasto un punto di riferimento per il basket anche dopo il suo ritiro nel 2016. Nel 2019 Luka Doncic, stella dei Dallas Mavericks, sta giocando allo Staples Center di Los Angeles, proprio contro i Lakers. Nell’avvicinarsi a bordo campo per battere una rimessa, sente qualcuno che gli parla in sloveno, sua lingua nativa. Si gira e con sua sorpresa vede proprio Bryant, uno dei suoi idoli. Il Black Mamba aveva imparato qualche frase in sloveno solo per potergli parlare a sorpresa, senza essere capito dagli altri intorno. Anche questo era Kobe, anche per questo resterà sempre una delle immagini più nitide della storia del basket. Ancora più delle sue canotte con l’8 e il 24, ritirate dai Lakers per non essere più indossate. Ancora più dei suoi 33.643 punti. Perché la Mamba mentality ha cambiato il modo stesso di concepire lo sport e la sfida quotidiana con sé stessi. Più di quanto una tragedia possa cancellare.