Più contagiosa(probabilmente) ma non più patogena:questo è quanto al momento si sa diOmicron (B.1.1.529), l’ultima variante del coronavirus Sars-CoV-2 che causa il Covid-19. Dati che derivano da quanto si è potuto osservare in questi pochi giorni e dalle 32 mutazioni del virus, rispetto ad una media di 10-13, spiega il professor Massimo Clementi, ordinario di Microbiologia e Virologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele, direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’Ospedale San Raffaele di Milano e autore, insieme al virologo Giorgio Palù, del saggio Virosfera.
Professor Clementi, qual è la novità di questa nuova variante del Sars-CoV-2 che tanto ha fatto alzare i toni della comunicazione?
“Nessuna novità di rilievo. L’allarme che è stato diffuso è partito ancor prima che si avessero informazioni complete, che tutt’oggi non abbiamo. Di varianti,anche particolari, se ne selezionano moltissime. Se avessimo atteso a dare queste informazioni parziali avendo qualche dato concreto non avremmo commesso l’errore di diffondere ulteriori paure e di far crollare i mercati finanziari. Certo, così molti sono stati spinti a vaccinarsi, e questo è un aspetto positivo. Ma cerchiamo di farlo in maniera razionale”.
Che cosa si sa ad oggi della variante Omicron?
“Sappiamo che è un virus molto mutato, e questo è stato motivo di allarme, ma che è probabilmente un virus che dà una malattia molto lievesia in coloro che sono vaccinati sia, per dichiarazione della dottoressa Angelique Coetzee (la presidente della South African Medical Association che l’ha isolato in Sudafrica, ndr), in coloro che non sono vaccinati. E nel contesto sudafricano oltre il 75 per cento delle persone non hanno ricevuto nemmeno una dose di vaccino”.
Qual è la differenza rispetto alle altre varianti che ha attirato maggiormente l’attenzione dei virologi?
“Normalmente le varianti del Sars-CoV-2 circolate finora hanno e hanno avuto nella proteina Spike, quella di maggior interesse, tra le dieci e le tredici mutazioni. La variante Omicron ne ha 32. Questo ha naturalmente attirato l’attenzione. Ma il numero di mutazioni non genera necessariamente un virus più contagioso o più patogeno. Da quanto si ipotizza ora questa variante permetterà al virus di infettare più rapidamente, dal momento che ha mostrato delle caratteristiche di diffusione maggiore nei primi soggetti infettati in Sudafrica. Ma al momento non si registrano casi gravi e questo è importante: significa che il virus ha pagato un prezzo per diventare più rapido, e il prezzo è nel modificarsi in maniera tale per cui probabilmente sta perdendo la patogenicità che aveva prima. Questo dato, però, al momento è una supposizione: servono almeno due-tre settimane di osservazione“.
Gli attuali vaccini contro le forme gravi di Covid devono essere rivisti?
“Al momento no, come ci ha dimostrato l’unico caso arrivato in Italia di un dirigente campano vaccinato con doppia dose che si è infettato in Mozambico e che sta sostanzialmente bene, a parte qualche piccolo disturbo. Gli stessi medici sudafricani hanno riferito di non aver visto ancora casi gravi di pazienti infettati dalla variante Omicron. Ci sono pochi sintomi lievi”.
La scarsa diffusione della vaccinazione in Sudafrica potrebbe aver inciso nella formazione di una nuova variante?
“Sì. La stessa variante inglese si è formata in una persona immunodepressa che era rimasta infettata per diversi mesi. In quel tempo si era selezionato un virus con molte mutazioni. Si pensa che lo stesso sia avvenuto nel caso della Omicron: un paziente positivo all’Hiv, infezione virale molto diffusa in Sudafrica, avrebbe albergato il coronavirus Sars-CoV-2 per oltre duecento giorni. Trattandosi di una persona immunodepressa, l’infezione è stata molto persistente. In quel lasso di tempo il virus, replicando, ha accumulato mutazioni su mutazioni, fino alla variante Omicron.Dopodiché il virus ha infettato altri soggetti. E ricordiamo che in Sudafrica il tasso di vaccinazione è inferiore al 25 per cento. Una situazione molto diversa da quella europea e italiana in particolare”.
La genesi di questa variante dovrebbe indurre ad una maggiore diffusione dei vaccini nel continente africano?
“È certo che occorra in qualche modo favorire la vaccinazione nei Paesi africani: in alcuni Stati del centro Africa i vaccinati sono meno del 2 per cento. C’è però un problema, che riguarda i vaccini a mRNA, la cui conservazione richiede frigoriferi a meno 80 gradi. Vaccini che potrebbero essere utilizzati sono quello di Astra Zeneca, il vaccino russo Sputnik, il cubano Soberana, che è a vettore virale e per il cui stoccaggio è sufficiente un frigorifero normale, che è quindi anche più facilmente trasportabile”.
In un mondo globalizzato, con una pandemia che dura ormai da quasi due anni, serve davvero fermare i voli?
“No, non serve a nulla. Lo abbiamo visto a suo tempo con la Cina. Quel che servirebbe sarebbero controlli agli arrivi e alle partenze. Controlli solo a campione, come quelli ipotizzati dal ministero dell’Interno, non sono sufficienti”.
È possibile che si vada verso una ‘normalizzazione’ della diffusione del Covid, che potrebbe diventare una sorta di influenza stagionale?
“Sì, è possibile che questo virus possa diventare endemico, mantenere una circolazione magari stagionale come tutti i virus respiratori, favoriti dall’inverno. In questi processi quasi sempre si osserva anche un certo adattamento del virus, che tende ad essere meno patogeno. Il risultato finale di questa pandemia potrebbe essere che il virus si adatta maggiormente all’uomo, ci dà un po’ di fastidio durante la stagione invernale e poi scompare. In questa situazione potrebbe essere anche non necessaria una immunizzazione per tutti, magari potrebbe essere richiesta solo per alcune fasce di popolazione più critiche, come anziani e immunodepressi”.
Quanto durano questi processi di passaggio da una pandemia ad una endemia?
“È impossibile dirlo, i tempi sono molto vari. Ma se quelle che sono le evidenze di questa variante Omicron saranno confermate potrebbe essere un inizio di questo processo”.