di Lorenzo Pastuglia (fonte Gazzetta dello Sport)
Di anni ne sono passati 27, ma è un po’ come se fosse ieri. Vedere le immagini dell’incidente al Tamburello fa ancora male. Ayrton Senna moriva in quel 1° maggio 1994, dopo un incidente nel GP San Marino di F1, a Imola. Emozioni ancora più forti se viste negli occhi di chi ha provato a salvarlo ed è rimasto vicino a lui nelle ultime ore: da quella curva fino all’arrivo in elicottero all’ospedale Maggiore di Bologna, dove il cuore del pilota Williams si fermò alle 18.37 nel reparto di rianimazione, all’11° piano. Il ricordo è ancora nitido in Giovanni Gordini, 67 anni, all'epoca responsabile del 118 di Bologna e oggi direttore della Rianimazione e del Dipartimento emergenza. Lo stesso che racconta come sono trascorse le ultime ore di vita del tre volte Campione del Mondo con la McLaren.
Ventisette anni fa, il 1° maggio del 1994, Ayrton Senna moriva in seguito alle ferite riportate in un incidente alla curva Tamburello del circuito di Imola, durante il Gran Premio di San Marino. Rivedi la sua prima vittoria in Formula Uno, nel 1985, all'Estoril
Dottor Gordini, alle 14.17 la Williams di Senna si schiantava a oltre 200 orari contro il muro esterno della curva Tamburello. Cosa stava facendo in quel momento?
“Ero in giro per il circuito. Mi ero diretto in tribuna centrale per controllare l’incidente tra JJ Lehto e Pedro Lamy alla partenza, dato che diversi detriti delle monoposto erano volati in tribuna, compresi alcuni pneumatici. Pochi minuti dopo mi è arrivata la voce via radio di Mauro Sacchetti (allora coordinatore sanitario del 118 che operava quel giorno al circuito del Santerno, ndr) con tre chiare parole: “Senna, incidente Tamburello”. Ero anche un po’ preoccupato, dato che quella curva evocava spesso botti dannosi come quello di Gerhard Berger nel 1989, bloccato nella sua Ferrari in fiamme e salvato grazie all’intervento tempestivo degli uomini del servizio antincendio. Così ho preso il mio motorino medico e mi sono diretto al Tamburello”.
Cosa ha trovato di fronte a sé?
“Sono arrivato qualche minuto dopo il medico della F1, Sid Watkins. Senna respirava ancora autonomamente ma era entrato in coma: aveva perso molto sangue dalla ferita sopra all’occhio destro, oltre ad avere una frattura alla base del collo per colpa della sospensione che si era staccata dalla sua Williams. Le manovre di rianimazione erano già iniziate, ma lui non dava nessun segnale di vita. Capimmo tutti subito la gravità della situazione e decidemmo di fare scendere l’elicottero in pista per portarlo all’ospedale Maggiore. Fatto quasi unico, in F1 non ricordo dinamiche simili di salvataggio. Il giorno prima Roland Ratzenberger, pilota della Simtek morto durante le qualifiche alla curva Villeneuve, era infatti stato prima portato all’ospedale del circuito”.
Se le condizioni erano già critiche, sono peggiorate ancora durante il volo con l’elisoccorso?
“Senna era già stato immobilizzato, lo avevamo intubato facendogli una tracheotomia. Sull’elicottero continuava a respirare ancora con il ventilatore meccanico polmonare. Il suo cuore ha anche subito un rallentamento del battito ma siamo riusciti a farlo ripartire. Nel frattempo abbiamo allertato la dottoressa Maria Teresa Fiandri, all’epoca Primaria del reparto di Rianimazione e del 118 del Maggiore, che ha radunato tutta l’equipe medica, della quale facevo parte, per farsi trovare pronti al nostro arrivo”.
E una volta giunti al Maggiore come è andata?
“Abbiamo portato subito Senna nell’emergency room del pronto soccorso e dopo avergli abbassato la parte superiore della tuta, abbiamo controllato il livello del sangue e fatto una Tac. Lì ci sono diverse camere, noi l’abbiamo messo in quella dell’accettazione. Quindi ci siamo diretti in rianimazione all’11° piano dell’ospedale. Eravamo in 10 ad assisterlo. Dalle prime immagini abbiamo capito quanto la situazione fosse critica, la conferma l’abbiamo avuta poi con l’elettroencefalogramma: era piatto, il suo cervello non rispondeva agli stimoli elettrici. L’emorragia era troppo grande e diffusa per colpa sia della lesione al lobo frontale destro che della frattura alla base del cranio. Ricevendo poco sangue, il cervello di Senna si è spento andando in quello che noi definiamo silenzio elettrico”.
Come era Ayrton all’arrivo al Maggiore?
“Nonostante la grande quantità di sangue perso in pista, presentava solo un gonfiore al viso. Un effetto naturale dovuto al trauma e alle terapie di salvataggio molto aggressive che vengono fatte ai pazienti non coscienti. Il corpo rimase immutato”.
Però fu troppo grave il quadro clinico per operarlo, come avete agito prima di dichiararne la morte ufficiale?
“Abbiamo instancabilmente continuato con le manovre di rianimazione e fatto, con i macchinari a nostra disposizione, tutto quello che non si può fare direttamente sul luogo dell’incidente: ci siamo occupati degli accessi vascolari con delle infusioni nelle vie più stabili, cambiato la tracheotomia mettendone una più consistente, somministrato alcuni farmaci. Posso assicurarlo, le abbiamo provate tutte, ma non c’è stato nulla da fare. Con la morte celebrale di Senna e dopo che il suo cuore ha smesso di battere, ci siamo trovati di fronte a un altro arduo compito: dare l’annuncio della morte ai tantissimi presenti all’ospedale”.
C’è qualcosa che l’ha colpita particolarmente nelle ultime ore di Ayrton?
“Senza dubbio l’ingresso in stanza di Berger. Mi fece impressione il fatto che è voluto a tutti i costi entrare per vedere un suo amico che stava morendo. Lui che era già stato ricoverato nella stessa camera nell’aprile 1989. Un gesto raro e pieno di significato. Io riuscii a parlarci poco, era di poche parole, rimase muto e addolorato in disparte. Non aveva voglia di conversare, sapeva già cosa sarebbe successo. Ricordo anche che venne il suo fisioterapista personale Josef Leberer, il manager Julian Jakobi e Watkins”.
Come reagì il medico della Formula 1, molto legato a Senna?
“Con Sid parlammo a lungo dopo la morte di Ayrton, era demoralizzato per l’accaduto ma ricordo che non pianse. Mi disse che già dal botto al Tamburello aveva capito che era impossibile salvarlo. Venne a Bologna con un altro elicottero insieme a Franco Servadei, neurochirurgo specializzato in operazioni alle parti cranico-spinali che era con noi a Imola ma non riuscì a intervenire data l’impossibilità di salvare il brasiliano”.
Erano in tantissimi al Maggiore, arrivati per spingere Senna verso una salvezza che sarebbe stata miracolosa...
“Ho ancora chiare le immagini. Già al nostro arrivo da Imola, l’atrio dell’ospedale era pieno di persone che avevano visto in televisione l’incidente: l’unico mezzo di allora per sapere della notizia. I tanti giornalisti che sono arrivati sono stati accomodati nell’aula magna di fianco all’ingresso del Maggiore. La Fiandri riuscì a trovare le parole per un momento così difficile e nonostante la commozione contenuta dei presenti si notava la grande tristezza sui loro volti. Alcuni di loro rimasero a lungo anche nelle ore seguenti, tanto che facemmo un collegamento con la Rai per la Domenica Sportiva. Ayrton era amato e lo si vedeva anche in questo. Da quell’incidente è cambiata la F1, soprattutto dal punto di vista della sicurezza”.
Il suo ricordo è ancora molto definito anche a distanza di 27 anni, ripensa mai a quel giorno?
“Da appassionato di Formula 1, assolutamente sì. Anche se non ho mai avuto un pilota preferito in particolare. Provammo a salvare Ratzenberger sabato e Senna domenica, ma non ci fu proprio nulla da fare. Una cosa però ci tengo a dirla: quel maledetto weekend del 1994, dove si infortunò seriamente anche Rubens Barrichello (il venerdì con la Jordan alla Variante Bassa,ndr), ha dimostrato al mondo come un sistema di emergenza deve lavorare in questi casi”.